Buzzi e Poletti: “compagni”…di cosa? Di merende?

buzzi-e-alemannoRiceviamo e pubblichiamo:

1. SALVATORE BUZZI

Milanese, trasferitosi a Roma, classe 1955, Salvatore Buzzi nel giugno 1980 fu condannato per omicidio doloso a 24 anni per aver ucciso (non con una, ma 34 coltellate!) un suo complice (non una pro- stituta, voce diffusa per qualche tempo forse per depistare l’eloquenza degli antecedenti del personaggio).

Il complice, Giovanni Gargano, che incassava e si spartiva con lui assegni rubati, lo aveva minacciato di rivelare ai superiori della banca per la quale lavorava il consistente giro di assegni falsi che incassava grazie alle mansioni che svolgeva. Dopo un tentativo di alibi costruito in fretta e furia grazie alla complicità della fidanzata brasiliana, dovette confessare. A quella che era sin dagli esordi la personalità inequivocabile del truffatore, ladro e assassino, seguì la metamorfosi nella figura del detenuto modello. Ciò avveniva in una fase di transizione dell’istituzione carceraria (gonfiatasi con la repressione delle lotte operaie degli anni 70 e relative rivolte di detenuti) nel nuovo corso, culminato con la legge Gozzini, volta ufficialmente alla riabilitazione e al reinserimento sociale, che non ha risolto in nessun modo i problemi dei poveri cristi carcerati, ma che un criminale in via di professionalizzazione come Buzzi genialmente intravide come leva per volgere in vantaggio la propria condizione e darsi una nuova icona positiva. Riuscì infatti a laurearsi in carcere (sembra il primo in Italia) nel 1983 in Lettere e Filosofia, col massimo dei voti e ovviamente la lode. Dei 24 anni ne sconta solo 11, poi va in libertà vigilata, finché il presidente della Repubblica gli concede la grazia, nel 1994. In galera, riuscì con determinazione a en- trare nel ruolo prescelto, diventando punto di riferimento dei detenuti di Rebibbia, emblema della validità della legge Gozzini, del fondatore di una cooperativa che avrebbe messo in pratica la sfida costituzionale del reinserimento dei detenuti, dell’uomo che aveva saputo studiare e riscattarsi, ricevendo pubblici riconoscimenti di parlamentari e dirigenti della sinistra e dell’associazionismo cattolico, impegnati, come usava dire, per i diritti e il reinserimento dei detenuti, in realtà a caccia di consensi non certo disinteressati.

Miriam Mafai, con sorprendente nonchalance circa i motivi della detenzione del detenuto, in un articolo su La Repubblica, si chiedeva: «Di quale delitto si sarà macchiato Salvatore Buzzi, il giovanotto bruno e barbuto che sta parlando, dal podio, della necessità di co- stituire, “rispettando la normativa vigente, una cooperati- va agricola per la gestione della Tenuta del Cavaliere, ex proprietà Ipab, ora in gestione patrimoniale del Comune di Roma”? Salvatore Buzzi, quando ha finito di leggere la relazione intitolata Misure alternative alla detenzione e ruolo della comunità esterna, che ufficializzava con la data la nascita della sua prima cooperativa “Rebibbia 29 giugno” stringe, con la propria mano non ancora lavata dal sangue versato di Giovanni Gargano, quelle di Giuliano Vassalli, presidente della Commissione Giustizia del Senato, di Ugo Vetere, sindaco di Roma, dell’ onorevole Bozzi, presidente della Commissione per la riforma istituzionale, di Giovanni Galloni, direttore del “Popolo”». I giornali descrissero allora la commozione e l’ammirazione della sinistra italiana per questo «vecchio compagno che ha smarrito la buona strada ma l’ha poi ritrovata alla grande», ma che sostanzialmente ha saputo menare un po’ tutti per il naso, anche il presidente della Camera Pietro Ingrao, “galantuomo” nella vulgata bipartisan dei partiti, il presidente della Caritas Don Luigi Di Liegro e il presidente Oscar Luigi Scalfaro che, per l’appunto, dopo 6 anni di carcere, 2 in semilibertà e un anno e mezzo in libertà condizionata, gli concesse la grazia, dopo aver constatato il pieno …“recupero” del detenuto. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/06/30/la-parola-al-cittadino-detenuto.html

http://www.inventati.org/cortocircuito/wp-content/uploads/2014/12/Buzzi-Alemanno-Casamonica-900x450-1417800178.jpgIn realtà ciò che era avvenuto era l’occultamento del suo curriculum di ladro e assassino e il riciclaggio dialettico in nuova chance, in un mestiere, quello del truffatore, da esercitare ormai non più a livello artigianale, ma altamente professionale e industrializzato, sì da giungere a controllare un giro d’affari di soldi pubblici e appalti per 60 milioni di euro annui. Ancora in regime di semilibertà, ottiene i suoi primi lavori, per la ripulitura di alcuni tratti della Via Tiberina, nei comuni della provincia a nord di Roma e avvia altre attività imprenditoriali nell’ambito cooperativo, dove lucidamente si intravede la fonte di lauti profitti con lo sfruttamento della forza lavoro in una forma modificata e neppure tanto mitigata di schiavitù, fatta di ex detenuti, portatori di handicap, ex tossicodipendenti, immigrati2 più o meno clandestini, e dove comunque la vera manna è che si paga per poter lavorare. Che le cooperative “rosse” (dalla vergogna aggiunge qualcuno) fossero fonte di super sfruttamento lo affermava già negli anni ’90 uno non certo in odore di rivoluzionario come Sergio Cofferati che già parlava di cooperative “che considerano il lavoro come occasione di profitto sulla pelle dei gio- vani”4. Vero e proprio business quello dell’accoglienza degli immigrati, come quello dei campi nomadi del resto, esploso nell’ultimo decennio, tanto da indurre Buzzi a dire a Carminati (detto ‘o Cecato e il Re di Roma, ex militante dei NAR in raccordo con la banda della Magliana e ora uno degli elementi principali della vera e propria holding criminale che collega malaffare degli appalti e politica romana) che esso «rende più della droga».

La cooperativa “Rebibbia 29 giugno”, occultato pure il riferimento al carcere, abbandonandolo, diventa “Onlus” appartenente alla Lega delle Cooperative: “La 29 Giugno è cooperativa sociale di tipo b nata a Roma nel 1985 ed ha come scopo sociale l’iserimento lavorativo delle persone appartenenti alle categorie protette svantaggiate, disabili fisici e psichici, tossicodipendenti ed ex, e più in generale delle per- sone appartenenti alle fasce deboli della società (senza fissa dimora, vittime della tratta, immigrati)”. L’impero di Buzzi, nella ricostruzione degli investigatori del ROS, risale al 31 dicembre 2013: un gruppo di 1200 dipendenti e un fatturato di circa 51 milioni (60 milioni per l’ordinanza del gip). Attraverso la ONLUS, Buzzi controlla direttamente 13 cooperative: Consorzio sociale Coin, Sarim Immobiliare, Eriches 29 consorzio di cooperative sociali, Tolfa care, Consorzio raccolta differenziata Roma scarl, Consorzio Raccolta differenziata Roma due, Consorzio Raccolta Differenziata tre, Consorzio Prassi (in liquidazione); Si.Al service, Consorzio Città dell’Altra economia, 29 Energy Green srl.

Tutte queste società son nate a Roma dagli anni novanta in poi, a cui nel 2011 si aggiunge il fiore all’occhiello, il Con- sorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa che ha sede a Bologna, capitale politica e finanziaria delle cooperative “rosse”. In questo contesto si colloca la ormai famosa cena del “ringraziamento”.

2. GIULIANO POLETTI

polettibuzziIn questa vicenda l’ex presidente della Legacoop nazionale e dell’Alleanza delle Cooperative Italiane ora Ministro del lavoro oscilla tra il faccia di bronzo e l’ingenuotto.

Classe 1951. Alla presidenza di Lega Coop dell’Emilia Romagna (percepiva, nel 2012, 192.623 €, più di quanto guadagna ora come ministro, dati resi noti per legge nel maggio 2014) poi della Lega coop nazionale, infine, nel 2013, è presidente dell’Alleanza delle Cooperative Italiane.

Il 4 dicembre 2014, lo scrittore Roberto Saviano, con un articolo su Repubblica, gli chiede conto dei suoi rapporti con Salvatore Buzzi: «Che ci faceva, Poletti, quando non era ancora ministro ma presidente di Legacoop Nazionale, nel 2010, a una cena di ringra- ziamento organizzata proprio da Buzzi per tutti “i politi- ci che ci sono a fianco ?» «È una classica cena sociale organizzata in un centro d’accoglienza della cooperati- va 29 Giugno. C’è l’ex sindaco Gianni Alemanno, c’è l’ex capo dell’Ama Franco Panzironi (arrestato con Buzzi), c’è un esponente del clan dei Casamonica, c’è il dimissionario assessore alla Casa Daniele Ozzimo (al tempo consigliere Pd e pure lui indagato), c’è il porta- voce dell’ex sindaco Sveva Belviso e c’è Umberto Mar- roni, parlamentare Pd (Buzzi in un’intercettazione di- chiara che proverà a lanciarlo alle primarie democrati- che per il sindaco di Roma). Il ministro non conosceva Buzzi e il suo modus operandi? Da presidente della Le- gacoop immaginiamo non potesse conoscere il dna di tutte le cooperative: ma nemmeno di questo impero da 60 milioni di euro? Eppure la Onlus apparteneva pro- prio alla realtà Legacoop. Poletti non si è reso conto di come la gestione degli appalti sia stata quantomeno di- sinvolta? Degli appalti che la giunta Alemanno conce- deva e del flusso di denaro che la beneficiava? C’è biso- gno di inchieste della magistratura, quando a Roma si sapeva da anni che Buzzi era un dominus nell’assegnazione alle sue cooperative degli appalti? Per- ché la politica deve rispondere solo se interrogata da un giudice? »… «Buzzi afferma “Concludo, infine, con un augurio di buon lavoro: al ministro Giuliano Poletti, nostro ex Presidente nazionale che più volte ha partecipato alle nostre assemblee…” Non si tratta di una semplice foto scattata, ma di un rapporto continuativo, durato anni. Perché? Non si tratta di una foto con uno sconosciuto, di una cena elettorale dove non sai con chi parli e a fianco di chi sei seduto.»

Poletti reagisce in questo modo: «Sto male nel vedere il mio nome messo vicino alle schifezze che ci sono. Sono indignato. buzzi-marino-nieri-1

Quelle cose non c’entrano nulla con il sottoscritto, sentirsi messa in discussione la propria reputazione è intollerabile». «Sapevamo tutti quanti che Salvatore Buzzi era stato condannato per omicidio – con- tinua Poletti – ma noi che viviamo in questi mondi pensiamo che ci sia la possibilità di cambiare la propria vita». Il ministro spiega: “Buzzi era apparso come una persona perbene che da carcerato si era laureato, faceva una vita dove si impegnava perché le persone che uscivano dal carcere avesse- ro un’altra possibilità, scoprire quello che ha fatto è un paradosso”.

“Contro queste cose – aggiunge il ministro – ci ho fatto la guerra per 40 anni ed essere messo vi- cino a queste cose è per me veramente intollerabile.

Ma penso prima di tutto a tutte quelle cooperative sociali che non c’entrano niente e dove lavorano persone perbene che aiutano i più deboli prendendo quattro soldi e lavorando da matti”.

DANTE LEPORE

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