Il buco nero dei bit: non c’è tempo per l’hardware

http://www.danielelonghi.com/wp-content/uploads/2013/05/hard-disk-rotto.jpgIan Sample, The Guardian, Gran Bretagna. Traduzione a cura di Internazionale

I file in cui archiviamo le foto e i documenti nella speranza di conservarli a lungo potrebbero rivelarsi inutili. Perché la tecnologia su cui si basano cambia molto in fretta

Una grande quantità di contenuti digitali (blog, tweet, immagini e video, ma anche docu- menti come email ufficiali e sentenze dei tribunali) potrebbe sparire a causa della scomparsa dei programmi ne- cessari per visualizzarli. Lo ha spiegato Vint Cerf, vicepresidente di Google, in occasione dell’incontro annuale dell’American association for the advancement of science a San Jose, in California.

Secondo Cerf potremmo avere una “generazione dimenticata o addirittura un secolo dimenticato” a causa del bit rot (deterioramento del software), il processo che rende inutilizzabili i file dei vecchi computer. Per questo dovremmo trovare un sistema per conservare i vecchi software e hardware in modo da poter recuperare i formati che non si usano più. “Se pensia mo alla quantità d’informazioni sulla nostra vita quotidiana archiviate in formato digitale, è evidente che rischiamo di perdere una parte enorme della nostra storia”, ha messo in guardia Cerf.

Il joystick in soffitta

Tutto questo evidenzia un aspetto paradossale della tecnologia. Oggi archiviamo in formato digitale la musica, le foto, le lettere e altri documenti nella speranza che sopravvivano più a lungo. Ma mentre i ricercatori migliorano i sistemi di archiviazione, i programmi e l’hardware per visualizzare questi file diventano presto obsoleti. “Senza accorgercene stiamo buttando tutti i nostri dati in quello che potrebbe diventare un buco nero dell’informazione. Digitalizziamo tutto perché pensiamo che questo basti a preservare i nostri ricordi, ma non capiamo che se non facciamo qualche passo in più queste versioni digitali potrebbero essere anche più fragili dei contenuti che abbiamo digitalizzato”, ha spiegato Cerf al Guardian. “Se avete fotografie a cui tenete particolarmente, vi conviene stamparle”.

Le civiltà del passato non avevano questi problemi. Gli storici che scrivevano sul le tavolette d’argilla o sui papiri avevano bisogno solo degli occhi per leggere. Per esaminare la cultura di oggi, invece, gli studiosi del futuro dovranno gestire pdf e centinaia di altri tipi di file che possono essere interpretati solo con certi tipi di software e hardware. Il problema esiste già. Negli anni ottanta era normale salvare i documenti sui floppy disk, caricare il videogioco Jet Set Willy da una cassetta sullo ZX Spectrum, uccidere alieni con un joystick Quickfire II e conservare le cartucce dei videogiochi Atari in soffitta. Oggi, anche se le cassette, i dischi e le cartucce sono in buone condizioni, gli strumenti per usarli si trovano solo nei musei.

L’ascesa dei videogiochi ha un ruolo importante nella storia della cultura digitale, ma secondo Cerf a finire nel bit rot saranno anche importanti documenti politici e storici. Nel 2005 la storica americana Doris Kearns Goodwin pubblicò un’opera in cui racconta come il presidente Lincoln avesse voluto nel suo governo alcuni di quelli che lo avevano sfidato per la presidenza. Kearns aveva fatto il giro delle biblioteche statunitensi per trovare le lettere delle persone coinvolte, ricostruendo così i loro scambi. “Nel mondo di oggi quelle lettere sarebbero email, e la possibilità di ritrovarle tra cent’anni sarebbe minima”, spiega Cerf. Il vicepresidente di Google ammette che gli storici faranno il possibile per conservare il materiale importante, ma spesso l’importanza di un documento può essere colta solo dopo secoli.

Alla Carnegie Mellon university di Pittsburgh, in Pennsylvania, hanno trovato una soluzione (parziale) al problema del bit rot. Qui Mahadev Satyanarayanan scatta istantanee dei dischi rigidi mentre eseguono diversi software e poi le carica su un computer che imita le apparecchiature su cui funzionano quei software. Il risultato è un computer che può leggere file altrimenti irrecuperabili. Ma inventare nuove tecnologie è appena metà dell’opera.

La parte più difficile riguarda i problemi legali: quando le aziende tecnologiche falliscono o smettono di aggiornare i loro prodotti possono venderne i diritti, rendendo quasi impossibile ottenere le autorizzazioni necessarie. “Per fare le cose come si deve, i diritti di conservazione devono essere inclusi nel nostro modo di intendere il copyright e i brevetti. Stiamo parlando di conservare per centinaia o addirittura migliaia di anni”, spiega Cerf.

Leggi anche:

Tecnologie dell’ubiquità. Prove tecniche di sfruttamento on-demand

La Monsanto semina dati…per raccogliere profitti

Come le reti rivoluzionano il pensiero scientifico (e forse quello umano)

Cina: il cimitero dell’hi-tech dove finiscono smartphone e pc da tutto il mondo

Il capitalismo contro l’ambiente: Achieving Environmental Justice

Dai gattini di Facebook alle Nike: la pubblicità del plusvalore

I social media “mettono a tacere” le opinioni, persino offline

Disoccupazione tecnologica. C’è chi ne gode: i padroni

L’economia della conoscenza e il paradosso della quantità: dalla precisione al pressappoco?

Oltre la competizione: il cervello sociale

Facebook

YouTube