Checchè ne dica Papa Francesco, l’anima è un’invenzione del pensiero selvaggio

11046404_975327665812898_673541048885618113_nCon l’approssimarsi dell’ennesima edizione dell’ostensione del lenzuolo definito sacro per aver coperto le spoglie di Gesù di Nazareth, e al tempo stesso del recente rituale pagano che ha visto il papa Bergoglio incollare un ennesimo bacio sull’ ampolla della liquefazione del presunto plasma di San Gennaro, mi sia consentito di citare me stesso con un brano che, per essere stato scritto nel 1999, mantiene viva e attuale la sua profetica freschezza.

Il brano è tratto dal libro Natura Lavoro Società. Alle origini del pensiero razionale, qui:

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L’anima è un’invenzione del pensiero selvaggio

Questo problema, in verità, è stato affrontato, con altro metodo, dal materialismo dialettico e non è un caso che, in una serie di saggi pubblicati tra il 1898 e il 1900 sulla rivista tedesca Die Neue Zeit e raccolti in volume nel 1909, Paul Lafargue cominciasse il suo studio sull’ Origine ed evoluzione dell’idea dell’anima con questa osservazione:

“Da più di duemila anni, i filosofi spiritualisti discutono in continuazione dell’anima, della sua essenza e delle sue qualità, del suo destino e della sua sede nel corpo (…) ma nessuno di loro si è mai domandato quando, perché e come l’idea dell’anima siapenetrata nella mente umana, vi si sia radicata e sviluppata . Vale la pena di occuparsi di questo problema, anche solo per cercare una spiegazione a questo doppio fenomeno, di cui si sono completamente disinteressati gli storici come i filosofi: la scomparsa presso i popoli antichi dell’idea di anima, che si trova anche fra iselvaggi più primitivi, e la sua successiva ricomparsa qualche secolo prima dell’era cristiana” [1].

Sempre sulla rivista Die Neue Zeit circa un decennio prima, nel 1886, F. Engels pubblicava il Ludwig Feuerbach, in cui affrontava anche questo problema, dandone, come sempre, in una pagina lapidaria, le coordinate generali:

“A partire dai tempi più antichi in cui gli uomini, ancora completamente ignoranti della struttura del loro corpo ed eccitati dai loro sogni, giunsero a farsi l’idea che i loro pensieri e le loro sensazioni non fossero un’attività del loro corpo ma di una specie di anima, che abitava in questo corpo e lo abbandonava dopo la morte: a partire da allora essi dovettero formarsidelle idee circa le relazioni di quest’anima col mondo esteriore. Se essa al momento della morte si separava dal corpo e continuava ad esistere, non vi era nessun motivo per attribuirle una nuova morte particolare. Così nacque l’idea della sua immortalità, che, in quel momento dell’evoluzione non si presentava menomamente come una consolazione, ma come un destino contro il quale non vi è nulla da fare, e abbastanza spesso, come presso i greci, come una vera sciagura. Non è il bisogno di consolazione religiosa, mal’imbarazzo, proveniente dalla generale ristrettezza mentale,circa quello che si dovesse fare dell’anima dopo la morte del corpo, unavolta ammessa l’esistenza di essa, che ha condotto alla noiosa finzione dell’immortalità personale. In modo del tutto analogo, attraverso la personificazione delle forze della natura nacquero i primi dei, i quali nel successivo sviluppo della religione vennero assumendo una figura sempre più estraterrena, sino a che per un processo di astrazione, e vorrei quasi dire di distillazione, compiutosi nel corso dell’evoluzione intellettuale, dagli dei numerosi, più o meno limitati e limitantisi a vicenda , sorse nella mente degli uomini l’idea del dio unico, esclusivo, delle religioni monoteiste.”[2] .

Engels dice ancora di più: è proprio in queste “rappresentazioni ristrette e piene di ignoranza proprie dello stato selvaggio” che trae le radici il problema supremo di tutta la filosofia, quello del rapporto del pensiero con l’essere, dello spirito con la natura, che fu posto acutamente quando la società europea si svegliò dal lungo letargo del Medioevo cristiano, problema che, del resto, era importante già al tempo della “scolastica” medievale. Si trattava di sapere, d’ora in poi, nei confronti della Chiesa, “se è Dio che ha creato il mondo oppure il mondo esiste dall’eternità”.

La religione e le filosofie spiritualiste hanno identificato, da secoli, la “coscienza” con l’anima, ma, fino a qualche tempo fa, alle donne la Chiesa non riconosceva un’anima ! [3]. Tanto meno ai selvaggi, che, del resto, l’avevano inventata!

Il termine greco divenuto più comune per indicare anima ”psyché” [psyché] designa al tempo stesso anche la “farfalla”. In molte decorazioni di vasi greci è raffigurata l’immagine di una farfalla, di una mosca o di altro insetto alato che esala dalla bocca del moribondo [4]. Le credenze primitive hanno, di volta in volta, espresso talune formulazioni in merito, che gli studiosi di religioni primitive e gli psicologi hanno raggruppato in diverse categorie: 1: c’è un’anima che si identifica con il “soffio vitale”, che abbandona il corpo durante il sonno e va errando, “volando” appunto, incontra  altre anime: dopo la morte, cerca un altro corpo e in esso può far sorgere malattie (compito dello stregone è quello di scacciarla di lì e di mantenerla nel regno dei morti); 2: un’anima che si identifica con l’ “ombra”: essa segue il corpo durante la veglia (alcune popolazioni non si espongono al sole di mezzogiorno per non perderla); 3: un’anima come “immagine riflessa del corpo”, che si specchia nelle acque o in oggetti brillanti; 4: un’anima che l’individuo ha in comune con un animale, che prevede un destino comune, e a cui si devono addirittura talune proprietà fisiche e morali dell’individuo. Ciò implica che fosse normale possedere diversi tipi di anima[5] . Sia i greci che i romani si rappresentavano in modo abbastanza simile l’esistenza dell’anima. Ritroviamo l’ombra, l’immagine, il simulacro, gli spettri dei defunti, mentre i romani distinguevano il genius, l’umbra (quella che appare intorno al tumulus), lo spiritus (quello che sale al cielo, astra petit), i manes (le ombre che scendono nel regno sotterraneo dell’orco).

Basterebbero queste poche considerazioni sulle vicissitudini, un po’ beffarde, di questa antica idea, per far luce sulla sua natura materiale. Ma esse non sono sufficienti a sradicare la superstizione, né i rituali macabri connessi, in un’epoca e in un paese del mondo come l’Italia, in cui persino le statue grondano lacrime e sangue! Basti pensare che un sindaco partenopeo, militante di un partito che si denominava “comunista”, si lascia riprendere dalle cineprese nell’atto di baciare l’ampolla contenente una sostanza presentata come la reliquia del sangue di S. Gennaro, offertagli, per l’occasione, da un cardinale in odore di un vizio tanto deprecato dalla chiesa e sinonimo di giudaismo, come l’usura.

Eppure la scienza ha accumulato una mole immensa di scoperte, sufficienti di per sé a sgretolare ogni elemento dell’edificio dogmatico su cui la credenza religiosa nelle anime e negli spiriti fonda ed esercita il potere schiavizzando le coscienze. La scienza ha vinto da tempo la sua battaglia teorica sull’assurda favola della creazione dell’uomo e dell’universo, nonché sul mito dell’anima distinta dal corpo e sulla sua pretesa immortalità. Ciò non ostante, la stragrande maggioranza dell’umanità, compresi illustri scienziati, ne resta ancora vittima. Su questo terreno, la Chiesa non teme alcuna defezione dai suoi ranghi, a tal punto che non esita a servirsi essa stessa della notizia scientifica.

Dieci anni or sono, [n. b.: il libro da cui traggo il brano fu pubblicato nel 1999, dunque l'accertamento della datazione del falso lenzuolo risale al 1988!] il cardinale di Torino, A. Ballestrero, non esitava a rendere pubblici i risultati ottenuti relativamente alla datazione scientifica del lenzuolo “sacro”, la Sindone, gabellata come impronta, se non del corpo, dell’anima del Cristo, nella sua misteriosa forza radiante, e perciò delle sue fattezze fisiche. Ben tre laboratori internazionali avevano analizzato campioni del presunto “sudario” del Cristo, cioè delle università dell’Arizona, di Oxford e del Politecnico di Zurigo, presentando, nel settembre 1988, i risultati al cardinale. Il papa stesso acconsentiva a renderli pubblici, il 12 ottobre 1988. Il cardinale di Torino dava lettura, in presenza di J. Navarro Valls, direttore della sala stampa del Vaticano, del referto scientifico: “l’intervallo di data calibrata assegnato al tessuto sindonico, con livello di confidenza del 95%, è tra il 1260 ed il 1390 dopo Cristo” [6]. C’è ancora da meravigliarsi se Torino continua ad ospitare migliaia di pellegrini che venerano un falso lenzuolo ed un’altrettanto falsa immagine dieci anni dopo questo verdetto?  Certo, c’è il business, il gioco di interessi economici, il cinismo affaristico, che non risparmia le venerabili tonache, tanto meno albergatori e bottegai d’ogni sorta, con codazzo di amministratori locali. Il fatto è che la religione non nasce dall’ignoranza, soprattutto nel mondo contemporaneo, anche se dall’ignoranza trae alimento e giovamento.

Chi pensasse, inoltre, che le religioni e i miti germoglino su dei “falsi”, come clamoroso “falso” si dimostra tutta la storia di questa “reliquia”, fabbricata con  ogni probabilità da monaci francesi, all’epoca appunto del mercato delle reliquie, e come dimostrano ben altri “falsi” come la “donazione” detta di Costantino, smascherata inesorabilmente dalla passione filologica dell’umanista L. Valla, non comprende la forte aspirazione di giustizia che si cela dietro ogni dogma della religione.

Essa nasce dalle reali miserie materiali, quelle dei selvaggi come quelle dell’uomo civile; dalle relative angosce, proprie, oggi, di una società divisa in classi antagoniste. Essa nasce dall’oppressione e dallo sfruttamento che si esercita sugli sfruttati; dalla condizione di insicurezza, di instabilità, di precarietà, di caducità, che ogni realtà assume sotto l’effetto dell’estensione rapida del capitalismo in tutto il pianeta. Questa genera  il terrore, l’incertezza del domani, il senso d’impotenza di fronte a forze, apparentemente estranee, cieche e incontrollabili, ma in realtà create ed alimentate proprio dal lavoro di milioni di lavoratori, schiacciati  e atomizzati dal peso di un feticcio che sfugge al loro controllo e li minaccia ed atterrisce, dopo che essi stessi lo hanno prodotto.

Note

[1]  P. LAFARGUE, Il determinismo economico di Marx, cit. p. 137. Il saggio in questione è alle pp. 137-213.

[2]  F. ENGELS,  Ludwig Feuerbach , cit., pp. 30-31.

[3]  La questione è affrontata, con mordente ironia, dall’ultraottantenne premio Nobel F. CRICK, scopritore, insieme con

Watson, da oltre quarant’anni, della doppia elica del DNA, nell’opera La scienza e l’anima. Un’ipotesi sulla coscienza, Milano  1997.

[4]  Pare abbastanza singolare non trovarvi un cenno in un libro monumentale come quello di ONIANS cit., che vi dedica le pp.119-241.

[5]  Su questo argomento, la letteratura è vastissima. Cfr. H.-C. PUECH (a cura di), Le religioni dei popoli senza scrittura (1970-76). Sulla concezione“dualista”, cioè sull’esistenza di una doppia anima, un’ombra e un’“anima principale” presso i Coriachi, cfr. I. PAULSON, Le religioni dei popoli artici in PUECH, Op. cit., p. 357; sull’anima ‘esterna’ sia nelle piante sia in oggetti inanimati sia negli animali, cfr. J. G. FRAZER, Il ramo d’oro cit., pp.1°29-1062.; P. LAFARGUE, Op. cit.;  F. MUELLER, Storia della psicologia, Milano 1964, pp. 18-19. 

[6]  Il testo è riportato dal quotidiano La Repubblica, 14.10.1988.

                                                                                                                                            Dante Lepore

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