Algeria: un colpo di stato medico-legale mancato?

A fianco una delle rarissime immagini dell’ex capo dell’intelligence algerina, Mohamed Mediene, detto Toufik

Una versione più corta di questo articolo è uscito sul quotidiano “il Manifesto” http://ilmanifesto.info/

Gianni Del Panta

Il primo novembre scorso – nella giornata che celebrava il 61° anniversario della formale dichiarazione di guerra contro il dominio coloniale francese – diciannove personalità di primo piano del mondo politico algerino hanno preso carta e penna ed espresso pubblicamente i propri forti dubbi rispetto alle capacità di governo del presidente Abdelaziz Bouteflika. La lettera, indirizzata al direttore del gabinetto presidenziale, nonché leader di uno dei partiti di governo, Ahmed Ouyahia, e al segretario di stato, Mohamed Rougab, è stata poi resa pubblica solamente alcuni giorni fa. L’iniziativa non è certamente una novità assoluta per il paese nord-africano, costretto ormai da anni a convivere con il forte sospetto che le ridotte capacità mentali del presidente abbiano determinato un ulteriore slittamento di potere a favore di quelle forze extra-costituzionali  che hanno storicamente ricoperto un ruolo di primo piano nelle vicende algerine.

L’antefatto da cui far ripartire il nastro di questa intricata vicenda è ovviamente il grave ictus che ha colpito Bouteflika nella primavera del 2013, quando il presidente era stato costretto a trascorrere quasi tre mesi in Francia per le dovute cure, prima di riuscire a rientrare ad Algeri solamente grazie all’aiuto di una sedia a rotelle. Nonostante questo, l’ex ministro degli esteri ai tempi di Houari Boumedienne, è riuscito a farsi ri-eleggere nel 2014 per il quarto consecutivo mandato, dopo che nel 2008 una revisione costituzionale aveva appositamente eliminato il limite massimo dei due termini presidenziali. In tale occasione, così come nei mesi che sarebbero seguiti, le opposizioni sollevarono dubbi e perplessità rispetto alle facoltà fisiche e soprattutto mentali di Bouteflika. La tragedia sembrerebbe adesso ripetersi in farsa, se non fosse per due elementi che ci inducono alla prudenza. Per prima cosa, se escludiamo la trotzkisteggiante Louisa Hanoune, segretaria generale del Partito dei Lavoratori, gli altri diciotto firmatari della lettera che sollecitava anche un incontro con il presidente sono tutte figure molto vicine allo stesso Bouteflika, se non veri e propri esponenti della sua ristretta cerchia di fedelissimi. In tal senso, un forte dubbio emerge: perché richiedere pubblicamente ciò di cui si è già a conoscenza, o che comunque può essere facilmente carpito grazie ai propri contatti personali? L’intera vicenda – il condizionale è d’obbligo qui – spingerebbe ad interpretare il gesto come una manovra difensiva nei confronti del presidente, volta cioè a proteggere la sua precaria posizione coinvolgendo direttamente il paese, proprio in una fase nella quale il “rumore di sciabole” ha raggiunto nuove vette. A molti infatti il presente algerino ricorda da vicino la vicenda tunisina del 1987 quando il malato presidente Habib Bourguiba veniva defenestrato da “un colpo di stato medico-legale” seguendo la famosa formula consacrata da Zine El-Abidine Ben Ali, ai tempi ministro degli interni e principale ispiratore di un piano che lo avrebbe portato a ricoprire la più alta carica statale e politica fino allo scoppio delle rivolte – divenute poi famose sotto la dizione di “Primavere Arabe” – che lo costrinsero a lasciare il paese in tutta fretta nel gennaio 2011.

Il secondo importante fattore da considerare in questa storia è stato il licenziamento, avvenuto ad inizio settembre, del potentissimo capo dell’intelligence algerina, Mohamed Mediene, meglio conosciuto con il soprannome di Toufik. Addestrato negli anni sessanta dal KGB, il “dio d’Algeria” – come amava farsi chiamare – è rimasto per oltre 25 anni a capo di uno dei servizi segreti più potenti ed influenti al mondo. Una longevità straordinaria, considerando anche che il sovietico Lavrenti Beria si è fermato a 15 anni, mentre il nazista Heinrick Himmler si è suicidato dopo solamente 11. In questo quarto di secolo, Mediene è stato uno dei nomi più noti e, al tempo stesso, uno dei volti meno conosciuti di Algeria – data la presenza di un’unica e sbiadita foto che ritraeva il generale Toufik. La sua uscita di scena non rappresenta però, come in tanti si sono affrettati a dire e scrivere, un tentativo dei poteri civili di esercitare un maggiore e più efficace controllo sulle forze militari quanto – come sembra più realistico, data la debolezza fisica e politica del presidente – il congiunto e riuscito attacco del capo di stato maggiore Ahmed Gaïd Salah, acerrimo nemico di Mediene dal lontano 2004 quando il suo predecessore Mohamed Lamari era stato estromesso proprio da un accordo stretto tra Toufik e Bouteflika, e da Athmane Tartag, detto Bachir, l’ex numero due dell’intelligence algerina. La sostituzione di Mediene, preparata da mesi con la graduale estromissione di numerosi suoi fedelissimi, rientra quindi in quella spesso invisibile e violenta lotta tra clan per il controllo del potere che ha caratterizzato l’Algeria sin dall’indipendenza. La crescente certezza che Bouteflika non riuscirà a portare a termine il proprio mandato, così come la volontà da parte di alcune forze di sanzionare anche a livello simbolico il predominio che hanno ottenuto dietro le quinte, potrebbe quindi spiegare il preventivo movimento dei diciannove firmatari, certi che ad un’uscita di scena di Bouteflika avrebbe fatto seguito un loro ridimensionamento politico.

Tutto questo, non lo si scordi, si inserisce in una dinamica macro-economica di grande difficoltà per un paese che rimane eccessivamente dipendente dalla vendita di idrocarburi, scontando così tutte le difficoltà legate al perdurante basso prezzo dell’oro nero sui mercati mondiali. Pur accettando pesantissimi passivi di bilancio, il governo algerino è stato infatti costretto a tagliare la spesa statale e a ridurre drasticamente i sussidi anche sui beni di prima necessità. Questo, data anche la limitatissima legittimità politica del regime ed il crescente malessere da parte di vari settori della popolazione, è stato controbilanciato da un ricorso sempre più massiccio ai mezzi repressivi per prevenire esplosioni sociali che sarebbero difficilmente placabili senza l’ausilio di un’ingente rendita petrolifera come successo nel recente passato. Il restringimento degli spazi di agibilità politica per le opposizioni colpisce anche il lavoro di alcuni giornalisti indipendenti. Notizia recente è infatti l’arresto e la detenzione senza capi di accusa di Hassan Bouras, membro della lega algerina per la difesa dei diritti dell’uomo (LADDH, l’acronimo francese) ed attivista contro l’utilizzo delle tecniche di fracking per l’estrazione di petrolio e gas di scisto nel sud del paese. Insomma, l’Algeria sembra un vulcano sul costante punto di esplodere. Capire da dove proverrà il primo grande boato e la direzione politica di questo, rimane però impervio.

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