Silenziose espulsioni di massa. Il razzismo del governo e un modo per contrastarlo

Il razzismo del governo e un modo per contrastarlodi COORDINAMENTO MIGRANTI EMILIA ROMAGNA

Il governo italiano sta attuando in silenzio, tramite gli Uffici Immigrazione e le Prefetture, un programma per rendere clandestini centinaia di migliaia di migranti. Il razzismo del governo agisce mentre la crisi continua a rendere sempre più difficile per i migranti avere un’occupazione stabile e un salario adeguato. Nel momento in cui, quando c’è, il lavoro è precario e quindi decine di migliaia di permessi di soggiorno sono a rischio, gli Uffici Immigrazione impongono controlli arbitrari al momento del rinnovo. Le inefficienze e i ritardi delle Questure sono usati per prolungare per mesi l’attesa del rinnovo, fino a che viene trovato qualche cavillo per bloccarlo. La durata dei permessi è sempre più breve anche in presenza di un lavoro, con la conseguenza che i migranti e le migranti sono costretti a ripetere le operazioni di rinnovo (e a pagare) più volte. Il permesso di ricerca occupazione viene rilasciato di pochi mesi, anche se la legge prevede che possa durare fino un anno, così che non si ha il tempo per trovare una nuova occupazione regolare. Il risultato è che, solo nel 2014, 150.000 permessi di soggiorno non sono stati rinnovati: un licenziamento di massa di 150.000 esistenze è avvenuto in Italia senza che nessuno avesse niente da dire. Così come nulla si dice della cancellazione di fatto dell’unico diritto a tempo indeterminato rimasto in mano ai migranti: la carta di soggiorno che le Questure, al momento dell’aggiornamento, revocano con il pretesto che sono venuti meno i requisiti. Non si tratta di comportamenti casuali. Noi sosteniamo che il Ministero degli interni sta gestendo una politica di espulsione programmata dal mercato del lavoro di decine di migliaia di uomini e donne migranti.

I migranti e le migranti si sono mobilitati contro tutto questo e contro il silenzio che avvolge le loro condizioni di vita, ottenendo importanti riconoscimenti da TAR e tribunali che hanno stabilito l’illegalità di queste pratiche. Le istituzioni rifiutano però di adeguarsi e, anzi, si rimangiano gli impegni presi: in Emilia Romagna non è mai stato convocato il tavolo annunciato dalla Regione dopo la richiesta del Coordinamento Migranti. In Puglia la Questura e Prefettura di Foggia non hanno tenuto fede alle promesse per il rispetto delle norme e la regolarizzazione in seguito alle proteste dei migranti impegnati nel lavoro in agricoltura. Le stesse pratiche emergono in diverse realtà italiane nel silenzio assenso del governo e dimostrano la sua chiara volontà politica. Come tutti gli altri lavoratori, i migranti vivono nell’incertezza delle occupazioni precarie, in più per loro la minaccia sempre più reale è però quella dell’espulsione.

Questa situazione è peggiorata dopo le stragi di Parigi e il ritorno dell’emergenza terrorismo. Mentre l’Europa applica una stretta sui confini, il Ministro degli Interni Alfano ha deciso di espellere diverse persone senza un processo e contro il parere dei giudici, ha ordinato perquisizioni e poi la chiusura di centri di accoglienza per i migranti in transito, ha presieduto da lontano agli sgomberi contro le occupazioni abitative che garantivano un tetto a decine di famiglie impoverite dalla crisi e dall’assenza di un welfare adeguato. Queste misure non servono a combattere il terrorismo, né a rendere l’Italia più sicura, ma ad esibire un trofeo in televisione e sui giornali, in modo da far vedere che il governo sta facendo qualcosa. Il risultato è che tutti i migranti sono oggi considerati potenziali pericoli. La retorica dell’emergenza serve a subordinarli e a limitare la loro possibilità di muoversi in Europa, ma anche a giustificare il rifiuto dello status di rifugiato a chi fugge da paesi governati da dittature sanguinarie o devastati dalla guerra. Solo un cinismo programmato e ignorante può pretendere che dei rifugiati vadano all’ambasciata della dittatura dalla quale fuggono, per chiedere un titolo di viaggio. A questi migranti le Commissioni territoriali per la protezione internazionale riconoscono di conseguenza solo una «protezione sussidiaria», che impedisce di ridurre i tempi per chiedere la cittadinanza e limita la loro libertà di movimento. Mentre il diritto di asilo diventa un privilegio di pochi, sono ormai tanti i migranti che, dopo un soggiorno più o meno lungo in qualche centro di accoglienza, si ritrovano su un aereo per essere rispediti democraticamente a casa. Si tratta quasi sempre di africani: merce superflua di cui il governo italiano ha deciso di non aver bisogno. Sarebbe ora che il governo italiano la smettesse di fare l’umanitario in Europa e il razzista a Roma. Perché non c’è bisogno delle volgarità della Lega per produrre diffidenza e ricatti, bastano il razzismo democratico, istituzionale e di governo mascherati dietro la retorica dell’integrazione. La realtà però non si può cancellare e i migranti non hanno paura.

C’è in effetti un dettaglio che sfugge al governo: i migranti non frequentano la Leopolda e queste condizioni non le accetteranno mai. Sanno qual è la loro forza in questo paese. I migranti costituiscono l’11% della forza lavoro e producono, da soli, il 9% del PIL nazionale. Mentre l’attenzione è rivolta ogni giorno verso nuove emergenze, i dati dimostrano che le tasse e i contributi versati dai migranti permettono all’Italia di far quadrare i conti e all’INPS di funzionare, perché versano nelle casse dello Stato molto di più di quanto ricevono in termini di welfare, servizi e pensioni. Nonostante siano costretti dalla legge che regola la loro presenza a occupare le fasce più basse di occupazione e di salario, i migranti sono una forza di cui l’Italia e l’Europa non possono fare a meno. È per questo che, mentre alimentano la paura, i governi europei stanno discutendo di come far entrare centinaia di migliaia di uomini e donne selezionandoli in base alla provenienza e alla specializzazione.

Di fronte a tutto questo, le iniziative locali, la solidarietà, l’organizzazione dell’accoglienza sono momenti importanti per rispondere ai bisogni immediati. Non bastano però per costruire la forza di cui abbiamo bisogno per rispondere a un’offensiva governativa che ha come sfondo l’Europa. Abbiamo bisogno di momenti e azioni che rendano visibile il rifiuto diffuso di queste pratiche e queste politiche, che sappiano mettere in comunicazione rifugiati, migranti, precarie divisi dal razzismo istituzionale. Anche le lotte che i lavoratori migranti stanno continuando a portare avanti dentro le situazioni di precarietà, come quelle nelle cooperative della logistica e nel lavoro agricolo, hanno bisogno di una cornice che permetta loro di entrare in connessione, e di mostrare che ciò che riguarda il lavoro migrante riguarda tutti. Le lotte dei migranti non possono essere confinate nei singoli luoghi di lavoro, né davanti alle Questure e alle Prefetture, né, ancora, riguardano solo i migranti. Per abbattere il razzismo di governo bisogna puntare in alto e avere il coraggio di immaginare e praticare forme di lotta che facciano valere tutta la loro forza. Scioperi, manifestazioni, azioni che chiamano in causa tutto il lavoro: la lotta dei e delle migranti è la lotta di precarie e operaie. Ed è una lotta che è transnazionale perché attraversa l’Europa e arriva anche in Italia. Il prossimo primo marzo la piattaforma per lo sciopero sociale transnazionale, una rete europea di attivisti, gruppi e sindacati, ha indetto la giornata «24 ore senza di noi! Contro i confini e contro la precarizzazione»Quella giornata può essere l’occasione di cui abbiamo bisogno per tornare a rovesciare la nostra forza contro il governo, contro chi ci sfrutta e contro le pretese europee di governo della mobilità.

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