1914 – 2011: “i nostri segni di pace”. Dalla tregua di Natale alle rivolte contro il capitale

« Buon Natale ».
Quante volte lo abbiamo sentito in questi giorni, con tanto di pacifismo candito e panforti di zuccherosa ideologia benpensante ! Di fronte allo scontato pacifismo della retorica, la storia è molto più fantasiosa, sicuramente mai scontata.

Si ricorda la prima guerra mondiale, essendone trascorsi 100 anni, non si ricorda, il giorno di Natale, cosa successe in trincea. Nell’esplosione di contraddizioni economiche che portò a quello scontro fece irruzione proprio un « Buon natale », già, la famosa « sovrastruttura ».
Il pretesto natalizio dimostrò l’ovvio, ossia la possibilità di fraternizzazione al fronte. Nelle lettere dei soldati inglesi del tempo si legge di mariti che scrivono alle mogli « Questi non sono i ‘barbari selvaggi’ di cui abbiamo tanto letto. Sono uomini con case e famiglie, paure e speranze e, sì, amor di patria. Insomma sono uomini come noi. Come hanno potuto indurci a credere altrimenti? Siccome si faceva tardi abbiamo cantato insieme qualche altra canzone attorno al falò, e abbiamo finito per intonare insieme – non ti dico una bugia – ‘Auld Lang Syne’. Poi ci siamo separati con la promessa di rincontrarci l’indomani, e magari organizzare una partita di calcio. »

Su queste poche righe crolla ogni antropologia secondo la quale l’uomo è bellicoso per natura : questo frammento di lettera inchioda alla realtà una lunga lista di ideologie.

Oggi la situazione è meno « rosea » (ed è tutto dire) perché le guerre, così come la coscienze, sono più frammentate e facilmente controllabili ; ma episodi come questi (altre tregue e fraternizzazioni si ebbero nel 1916 in Bulgaria) continuano a lasciare un esempio indelebile.

Così come indelebile resta l’assalto al cielo del gennaio 2011 in Egitto. Ben Ali in Tunisia era appena caduto ed il movimento 6 Aprile – nato dal tentativo, poi fallito, di proclamare uno sciopero generale dei lavoratori tessili nel delta del Nilo nel 2008 – chiamava alla mobilitazione nella giornata che celebrava le forze di polizia, il 25 gennaio 2011. Quel martedì, come ricordato da un attivista, le aspettative non erano certo rosee per gli oppositori del regime: “immaginavamo di essere poche centinaia con il solito copione pronto all’ennesima replica: prima dispersi e poi arrestati.

Il tutto non sarebbe durato più di qualche ora”. Ed invece in circa 20,000 marciarono su Tahrir, mettendo in scacco le forze di polizia ed occupando la piazza per diverse ore. Prima di mezzanotte però l’odiato ministro degli interni, Habib al-‘Adli, poteva rassicurare il regime di Hosni Mubarak: il presidio era stato sgomberato. Per due giorni la città visse una calma apparente, costellata da una presenza massiccia di uomini in divisa e da innumerevoli schermaglie nei quartieri periferici. La battaglia decisiva di quello strisciante confronto era implicitamente fissata per venerdì 28 gennaio, quando un fronte ampio delle opposizioni chiamava al “giorno della collera” contro il regime. Chi conosce il Cairo sa bene che il caos quotidiano ed il traffico impazzito si scagliano contro l’assoluta calma dei venerdì mattina, giornata di preghiera che porta a cessare tutte le attività almeno fino al mezzodì. Quel 28 gennaio la situazione non era diversa. Dopo la preghiera di mezzogiorno però, nessuno era disposto a tornare a casa e centinaia di migliaia marciarono verso Tahrir. Sul ponte Qasr al-Nil ci furono oltre due ore di scontri violentissimi, al termine dei quali le forze di polizia furono soverchiate e fisicamente sconfitte dai manifestanti che si aprirono la strada verso Tahrir. Quella che poi risulterà essere una “rivoluzione politica con un’anima sociale”, guadagnava quindi il suo slancio decisivo al termine dell’ora di preghiera, segnando per assurdo il primo grande momento di confronto sociale in Egitto negli ultimi decenni che non vedeva un ruolo centrale delle forze islamiste.

Quello che oggi, 25 dicembre, vogliamo quindi ricordare a tutti noi è che se la struttura crea le condizioni necessarie per lo sviluppo del “movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti”, questa è di per sé insufficiente. Non chiudere nessun occhio alla sovrastruttura resta quindi un buon vademecum per il nuovo anno che sta per iniziare.

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