L’imperialismo italiano oggi sceglie di proseguire con il Pd

Editoriale del n. 48 di “Alternativa di Classe”

gentiloni alé

Dopo l’esito referendario e le conseguenti, scontate, dimissioni di Renzi da premier, nonché dopo le decisioni formali del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è Paolo Gentiloni, l’ex Ministro degli Esteri, a proseguire l’iter del governo precedente, sempre a guida PD. Anzi, praticamente, è quel che una volta si definiva “rimpasto”, fatto in modo da far apparire “coerente” Renzi, impegnato a preparare il Congresso PD. Tutte le forze politiche, infatti, dalla destra alla sinistra “radicale”, già dal 5 Dicembre avevano fiutato la possibilità di crescere, visto l’incremento dei votanti, e, con più o meno spregiudicatezza, avevano subito fatto a gara nel chiedere nuove elezioni nazionali. Che ci saranno di certo, ma solo dopo “gli adempimenti” irrinunciabili dell’imperialismo “di casa nostra”.

Si è avviata, così, una lunghissima campagna elettorale, durante la quale le scadenze, interne ed internazionali, saranno ancora, come era ovvio (e D’Alema, fautore del NO, lo aveva già affermato in tempi “non sospetti”…), gestite politicamente dal PD e dai suoi alleati. Dopo la riunione del Consiglio Europeo di Giovedì 15 a Bruxelles, infatti, su “migration compact” (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno IV n. 44 a pag. 2), cooperazione militare UE in ambito NATO, e “prospettive economiche” UE, cui ha partecipato il “nuovo” premier, che, da ministro, aveva già curato il rilancio in chiave militare dell’Italia all’estero (a partire dal Mediterraneo, storico “mare nostrum”), Gentiloni dovrà anche, come minimo, gestire il 60° anniversario del Trattato di Roma della nascita della CEE il 25 Marzo, e, soprattutto, presiedere a fine Maggio, a Taormina, la riunione del G7. Con il sospetto, poi, che molti parlamentari, indipendentemente dall’affiliazione partitica, lavoreranno per arrivare almeno fino a Settembre senza votare, per assicurarsi l’agognato vitalizio: e gli interessi materiali contano davvero tanto!…

In realtà, gli ormai famosi “mille giorni” di Renzi hanno lavorato per inaugurare comunque una fase nuova in Italia, nella quale i provvedimenti economici, con i loro iter, nonché i relativi corollari delle attività di sostegno al business nazionale, svolti dai politicanti nei meeting internazionali, non devono più essere influenzati dalle vicissitudini politiche interne: il capitalismo anche in questo Paese ha le sue necessità, come già indicava anche il noto documento del 2013 della Banca d’affari USA, la JP Morgan, e non va in alcun modo “disturbato il manovratore”. La conferma della modifica costituzionale doveva essere “la ciliegina sulla torta”, non a caso politicamente appoggiata direttamente da Confindustria, ma la vittoria del NO, a parte altre considerazioni, ha costretto al rinvio di questo “perfezionamento”.

Questo non ha impedito, ovviamente, con il “congelamento” delle dimissioni renziane, che il gioco delle parti aveva attribuito a Mattarella, la frettolosa definitiva approvazione della “Legge di bilancio” (la ex Legge di stabilità), da molti definita addirittura “atto dovuto” di Renzi, con tutti i suoi contenuti a vantaggio del capitale (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno IV n. 46 alle pagg. 1 e 2), prontamente avvenuta già Mercoledì 7 Dicembre, attraverso il collaudato meccanismo della “fiducia” al Governo, pur se formalmente “dimissionario”… Era ciò che più interessava fare subito al capitale!
Il cambio di passo, che il Governo Renzi ha saputo dare, dimostra di non averlo capito, ad esempio, chi ha messo davanti la campagna referendaria alla denuncia dei contenuti degli ultimi, pessimi, accordi fatti da CGIL, CISL e UIL. Non ha capito, cioè, quanto, in fondo, poco abbiano rappresentato un favore politico a Renzi in funzione del SI al referendum, le firme sindacali confederali all’ipotesi di contratto dei metalmeccanici ed, ancor più, all’Accordo del 30 Novembre sul Pubblico Impiego, e quanto, invece, tali firme siano state accelerate per avere, comunque, un “interlocutore istituzionale” in carica a tutti gli effetti, evitando di doverne ritardare i sostanziali vantaggi per il capitale ed il suo Stato.

Alla normale prevalenza dell’economia sulla politica si sta aggiungendo, non da ora, ed in modo sempre più determinante, il “fattore tempo”… Altro esempio di lontananza (come minimo) dalla coscienza di quanto sta avvenendo è stata poi la manifestazione del sindacato USB, (che, peraltro, la RAI ha presentato come “il“ sindacalismo di base “tout court”), “tempestivamente” inscenata, ai primi risultati referendari, sotto Montecitorio, e nella quale venivano chieste …“le dimissioni di Renzi” e l’indizione di “nuove elezioni”! Proprio quello che le forze borghesi si apprestavano a fare.

L’esito referendario non rappresenta certo, di per sé, una vittoria da festeggiare, visto che non migliora in modo apprezzabile le condizioni di vita e di lavoro dei proletari, anche se, dal punto di vista di classe, ha dato “un po’ di ossigeno” ai dipendenti delle Province ed ha guadagnato un po’ di tempo con la caduta del Governo Renzi, mentre un’eventuale vittoria del SI avrebbe certamente significato condizioni di contesto sicuramente peggiori. Pur se andrebbe fatta un’analisi più approfondita, per la quale risulta difficile reperire i dati, appare certo che la personalizzazione dello scontro non ha giovato a Renzi e che la maggior parte del voto giovanile è stata contro di lui e della sua politica, ma non certo solo “da sinistra”. Il decantato aumento dei votanti non è poi così forte, come viene dipinto dai media (ha votato il 65,47% degli aventi diritto, compresi “gli italiani all’estero”…), anche se non ha certo avuto particolare successo l’astensionismo, specie se cosciente.
Cercando di analizzare il comportamento referendario dei proletari, pur se su dati insufficienti, pare risultare anche che, nel 59,8% dei NO, peraltro espressione del diffuso “disagio sociale” provocato dalle politiche renziane, non c’è stato un loro contributo di “peso specifico” particolare, ma, piuttosto, dello stesso ordine di grandezza di quello dei borghesi, mentre, analizzando specificamente alcune concentrazioni operaie, l’affluenza alle urne pare considerevole, e forse maggiore che altrove. In ogni caso, da un punto di vista di classe, salvo auspicabili approfondimenti documentali, magari su di un numero maggiore di situazioni specifiche, non sembrano emergere dati nuovi. A tutto ciò ci pare utile ribadire che si tratta, comunque, di un “terreno nemico”, dal quale, pur senza disprezzo, non ci si poteva certo aspettare di più…

Le difficoltà per i proletari sono comunque tali che il tempo guadagnato va utilizzato tutto, e, soprattutto, senza abbagli elettoralistici. La “RIVOLUZIONE COPERNICANA”, necessaria nella testa di molti compagni, è quella di mettere davvero al primo posto l’impegno diretto nello scontro di classe! E subito ci troviamo la scadenza del voto sindacale sull’ipotesi di CCNL metalmeccanico, previsto per i giorni 19, 20 e 21 nelle fabbriche. Questa prevede aumenti incerti, di bassissima entità (ricomprendendo eventuali “welfare aziendali”), e non per tutti, oltre ad una ancora maggiore flessibilizzazione del lavoro ed una parte normativa “a perdere”!..Disegna, cioè, un tipo di contratto completamente diverso da quello conosciuto finora. 

La campagna contro tale ipotesi, per votare NO, può essere, questa sì, un punto di partenza per la ripresa della lotta. In questo senso ci pare importante la decisione presa Martedì 6 a Firenze dall’Assemblea della Opposizione CGIL in FIOM di cominciare comunque anche a costruire una più salda rete sul piano nazionale. Come ci pare di segno positivo la volontà espressa alla base da sempre più compagni di mettere fine nelle diverse categorie alle rivalità di sigla sindacale, esagerate quanto assurde, sia tra Opposizione CGIL e sindacalismo di base, che all’interno di esso. Di certo non neghiamo che esistano differenze (e nemmeno di poco conto!) fra tutte queste aggregazioni sindacali, ma ci pare che la riproduzione “per scissione” di sigle all’interno del sindacalismo di base possa e debba essere contrastata sempre più, almeno negli effetti, con l’unità di mobilitazione ed azione su obiettivi classisti.
Nello stesso tempo, l’Accordo del 30 Novembre per “l’avvio” di trattative per pubblico impiego e scuola, pur sbloccando la contrattazione, contiene, oltre che la sostanziale conferma dei devastanti meccanismi della vecchia Legge Brunetta, l’allusione ad altri obiettivi inquietanti, come, ad esempio, ulteriori penalizzazioni per la malattia e l’introduzione di parti di retribuzione fornite sotto la forma di “welfare aziendale”… Visto l’esempio negativo del recente contratto sull’Igiene ambientale, necessitano da subito adeguati livelli di mobilitazione, a partire da un’informazione, diffusa capillarmente nei luoghi di lavoro, sui contenuti del testo di questo Accordo.

Del resto, a confermare i nefasti intendimenti prioritari di CGIL, CISL e UIL sulle “necessità” del fluire indisturbato dell’economia, sta la nota congiunta con Confindustria (il “Patto per la fabbrica”), firmata proprio Mercoledì 7 Dicembre, con la quale, oltre a ribadire la loro “idea di politica economica e industriale nazionale…”, colgono “l’occasione per sollecitare l’attuazione dell’accordo siglato il 1° Settembre sulla gestione delle crisi aziendali”, quelle “Proposte per le politiche del lavoro” (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno IV n. 45 alle pagg. 1 e 2), con cui i confederali già si sono proposti come “cogestori nell’accompagnamento al licenziamento dei lavoratori” in esubero!…
A tutto ciò si aggiungono le insidie contenute nella recente pronuncia della Cassazione a favore di tre referendum proposti dalla CGIL, cui Confindustria, ben conoscendo l’inefficacia di questo strumento, ha già “minacciato” di sospendere ogni assunzione (!?), in caso di un suo svolgimento, per spostare lo scontro su un obiettivo illusorio per i proletari. Questi referendum, infatti, dopo l’eventuale sì della Corte Costituzionale, servirebbero, insieme ai falsi obiettivi della destra e del M5S, a distogliere molti lavoratori, già convinti di avere ottenuto una “grande vittoria” il 4 Dicembre, dal passare alle lotte reali, per ricercare, invece, il quorum, in attesa degli ennesimi responsi delle urne…
Si tratta di mobilitarsi, anche a partire dagli specifici locali, e da quelli categoriali, e, comunque, verso una unificazione delle lotte, oltre che contro il Governo Gentiloni, per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari e contro le politiche di guerra in Siria, in Libia, in Iraq, in Yemen e dovunque l’imperialismo italiano porta, in un modo o nell’altro, la propria politica di rapina e di morte. CONTRO, cioè, LE PRIORITA’ DELLA BORGHESIA, CHE DETTANO I TEMPI AI POLITICANTI!…

Alternativa di Classe

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