Serve una grande scommessa: sblocco di classe !

Nel 2007 i Democratici di Sinistra (Ds) si fondevano con la Margherita dando vita al Partito Democratico. Portavano in dote al Pd i circoli, la fedeltà della Cgil, l’associazionismo di sinistra, il legame con l’Anpi, con l’Arci e con le Coop. Dentro il Pd, sono stati tritati e ridotti alla marginalità. I dirigenti Ds hanno fondato il Pd come maggioranza. Sono diventati la minoranza ridicola di Renzi. Usciti dopo 10 anni, Bersani, D’Alema e Rossi non hanno trovato di meglio che fondare Dp, i Democratici Progressisti, confermare la fiducia nel Governo Pd e la disponibilità a future alleanze elettorali con Renzi stesso. Qualcosa di grottesco.

La parabola di Bersani e compagnia è irrazionale perché si basa su un assunto irreale: il tentativo di far nascere un nuovo centrosinistra. Tentativo che non corrisponde agli interessi di nessuna classe. Non incanta più i lavoratori. Non interessa alla piccola borghesia rovinata. Non convince fino in fondo la classe dominante. E’ il sogno residuale degli ex Ds di tornare al tempo che fu. Un tempo andato. E non potrà tornare nelle stesse forme.

Nel 2008 il disastro elettorale della sinistra Arcobaleno cancellava la rappresentanza parlamentare della cosiddetta “sinistra antagonista”. Rifondazione Comunista (Prc) ne veniva fortemente ridimensionata. Quel tonfo non fu la causa della perdita di radicamento sociale del Prc. Ne fu il portato. Invece di concentrarsi nel recuperare tale radicamento, negli anni sono arrivate la Federazione della Sinistra, Rivoluzione Civile, e una miriade di coloriti cartelli elettorali regionali, provinciali e comunali. La nascita di Sinistra Italiana non si discosta da questo solco. Nè si discosta dagli errori passati il tentativo di Rifondazione di allearvisi.

Sono passati 10 anni dalla Sinistra Arcobaleno. Un bambino nato allora, oggi va in quinta  elementare. I dirigenti di quella sinistra sono sempre fermi lì. L’elettoralismo li dominava. L’elettoralismo li domina. Non disdegnano presenziare la mobilitazione sociale, alzare il pugno, portare le bandiere in piazza e i convegni sul lavoro. Semplicemente li vivono come espedienti necessari per raccogliere voti. Si aggregano per cercare di essere eletti e litigano per chi deve essere eletto. Su questa esigenza materiale costruiscono teorie, sigle, nuovi raggruppamenti, appelli, prese di posizione. L’intero apparato di segretari, assessori, consiglieri, e funzionari delle forze a sinistra del Pd dal 2008 in poi si è trovato sospeso in aria. Tuttavia non sono spariti. Si sono rimescolati, rinominati, riciclati. Sono rimasti come un peso inerziale su ogni tentativo di ripartenza.

Così tra il 2007 ed il 2008, per vie diverse e per ragioni diverse, si è rotto il legame tra la nostra classe e le sue tradizionali organizzazioni politiche ed elettorali. Qua non si tratta di rimpiangere i Ds o il Prc di Bertinotti. Niente di più lontano da noi. Si tratta di comprendere la complessità della dinamica di classe. Tali organizzazioni, pur con il loro programma riformista e la loro inadeguatezza, erano comunque un elemento di tenuta del dibattito politico tra la classe. Erano anche semplicemente contenitori dove un lavoratore muoveva i primi passi dell’attivismo politico. Esse sono cadute o sono state marginalizzate, ma da destra. E questo chiama indirettamente in causa le responsabilità di tutte quelle forze della “sinistra rivoluzionaria” che in teoria si erano candidate ad essere un’alternativa.

Siamo quindi entrati da allora in un ciclo politico in Italia di cui ancora non si vede la fine. In assenza di un riferimento politico di classe a livello di massa, movimenti o lotte non sono mancate. Nè a livello nazionale e ancora meno a livello internazionale. Semplicemente non hanno sedimentato almeno su scala di massa una nuova generazione di quadri politici. Al contrario, tra un settore di attivisti è dilagato lo scetticismo verso la classe, vista come un coacervo monolitico di analfabeti funzionali e razzisti.

Esistono ragioni oggettive di questo processo? Esistono, senza dubbio. In particolare il crollo della sinistra politica è coinciso con la crisi del 2008. Allo sbandamento politico si è sommato quello sociale. Tra il 2008 ed il 2014 sono fallite 82mila imprese con la perdita di 1 milione di posti di lavoro. Nel 2007 1,7 milioni di italiani vivevano al di sotto della soglia di povertà. Sono diventati quasi 4,6 milioni.

Tuttavia usare la crisi del capitalismo per giustificare il crollo della sinistra è paradossale: spiega quale fosse la natura di tale sinistra. Cresciuta sulle fondamenta di questo sistema, ne è rimasta sotto le macerie. Né sono mancati momenti in cui poteva essere impostata una riscossa. Pensiamo al 2010 con la lotta della Fiat di Pomigliano o allo stesso movimento contro il Jobs Act del 2014. In entrambi i casi il movimento non è stato sconfitto. E’ stato mandato a casa dai vertici Fiom prima e da quella Cgil poi. Ed è stucchevole assistere ai festeggiamenti dei vertici Cgil per la presunta “vittoria” sui voucher, quando tutta la strategia referendaria è stata utilizzata per addormentare la mobilitazione sociale.

Nella misura in cui il vuoto non esiste, l’ampio spettro del disagio sociale ha portato alla crescita del Movimento 5 Stelle e contemporaneamente ad un razzismo diffuso. Il M5S è diventato in un certo senso il partito tradizionale del disagio. Nella misura in cui una fetta della popolazione ritiene di dover usare il voto come una clava verso l’ordine costituito, si rivolge ai 5 Stelle. Se era lecito formulare le ipotesi più aperte sulla natura qualche anno fa, oggi la questione ci sembra chiusa. E sono piuttosto patetici i tentativi di incalzarlo da sinistra. La nascita di una forza reale di cambiamento non sorgerà dal maturare di contraddizioni feconde interne ai 5 Stelle. Nascerà da una loro sconfitta generale. E perché questa si dia, è diventato probabilmente ineluttabile passare da un loro coinvolgimento al Governo.

Il problema non è tanto quello dello spazio elettorale occupato dai 5 Stelle. Si tratta del complesso di teorie interclassiste con cui influenzano un settore significativo della nostra classe.

Nel pieno della crisi, i ceti oppressi sono stati pervasi dalla sensazione dirompente che esista un “noi” e un “loro”. Sensazione corretta, fondamentale. Il punto è che in assenza di una forza di classe questo “noi” e “loro” non si è tradotto in “noi sfruttati” e “loro sfruttatori”. I 5 Stelle, Salvini, Renzi e a cascata varie forze minori lo hanno coniugato a modo loro: “noi italiani”, “loro immigrati”, “noi onesti”, “loro casta”, “noi complottisti”, “loro con le scie chimiche”, “noi sovranisti”, “loro con la Merkel”. Un coacervo di idee ben differenti ma accomunate da un tratto comune: sviare dallo scontro classe contro classe verso altri presunti piani del conflitto.

Eppure lo scontro di classe attraversa l’intera società, ribolle sotto e sopra la superficie. E’ l’unico processo oggettivo su cui realmente possa essere basata una teoria e una forza organizzata duratura. Per questo, qualsiasi idea svii da questo corso è destinata a essere travolta dagli avvenimenti, per quanto accattivante essa sembri. Il nostro classismo non affonda le radici in considerazioni di natura meramente sindacale. Non è bieco operaismo o economicismo. Si basa su un metodo scientifico e storico, sul marxismo. Ed è per questo che abbiamo affiancato all’azione di Cortocircuito il portale teorico Marxpedia.

Dato lo stato di partenza, lo scontro sociale e le forme politiche in questo paese potranno prendere le forme più spurie. Se questo ci obbliga a essere pronti a intervenire in ogni scenario possibile, non possiamo però eleggere tali forme spurie a nostra teoria. Assistiamo invece al dilagare proprio tra gli attivisti di ogni genere di teorie eclettiche, sovraniste, dell’infatuazione verso la via referendaria, il costituzionalismo democratico o l’ultimo leader o moda del momento. Idee che sono il portato dell’assenza di conflitto generalizzato e che possono diventare contemporaneamente freno ad una ripresa delle lotte.

Abbiamo il compito invece di resistere a questa corrente e scommettere su un processo diverso: tra le lotte sociali, sindacali, per la casa, nella logistica, nel commercio, tra i metalmeccanici, nel movimento studentesco, tra l’antagonismo politico, nel dibattito che attraversa la “sinistra rivoluzionaria”, si accumula potenzialmente un settore di nuovi quadri politici. Questo settore non rappresenta la massa in movimento. Rappresenta però un capitale da accumulare e su cui investire pazientemente per intervenire quando la massa si mette in movimento. La mappa dice: voi siete qui. Noi aggiungiamo: non esiste scorciatoia.

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