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:: SCENARI & DELIRI ::
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imc-info Friday, Mar. 04, 2005 at 5:48 PM |
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Contributi storici, approfondimenti, documenti "ufficiali",
rivelazioni e analisi sulla guerra permanente.
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L’AMERICA ED IL SUO NUOVO CUORE DI TENEBRA
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JOHN KAMINSKI Saturday, Mar. 05, 2005 at 1:39 AM |
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L’AMERICA ED IL SUO NUOVO CUORE DI TENEBRA
http://www.comedonchisciotte.luogocomune.net/modules.php?name=News&file=article&sid=654
JOHN KAMINSKI
Domenica, 27 febbraio
Le comodità ci hanno reso tutti dei codardi silenziosi
…il potere assoluto corrompe in modo assoluto - Lord Acton
La sola cosa che un uomo possa tradire è la sua coscienza - Joseph Conrad
“Lo facciamo perché possiamo” ha detto il militare compiaciuto. E con questa filosofia, la macchina da guerra corporativa americana cerca di trascinare il mondo alla tomba. Mi rimbombano ancora nelle orecchie le parole dell’ex generale e di recente Segretario di Stato Colin Powell: “Non contiamo i morti Iracheni”, disse. Forse perché sapeva che non avrebbe potuto contare fino a tanto. Per tutto un mese mi sono guardato attorno per poter dire qualcosa di positivo, di incoraggiante, di costruttivo…. ed in mancanza di ciò, forse cercavo qualche consolazione, una ovvia spiegazione alla perversione che, con i suoi tentacoli petrolchimici, ha stretto l’umanità in una morsa sempre più forte.
Nel grigio panorama di languide menzogne e di concezioni sbagliate e cattive, non scorgo nulla a cui aggrapparmi. Non un raggio di speranza. Solo menzogne, distorsioni a loro uso e consumo di quella che una volta veniva chiamata logica. La libertà non è più al sicuro, ci dicono. Devi avere un numero. E quando ce l’hai, prendi questo vaccino tossico perché se ti ammalerai non potrai indossare l’uniforme. Devi solo farlo , come ordina lo slogan.
Non è più garantito il diritto ad un giusto processo. Puoi essere imprigionato o giustiziato per ragioni che possono rimanere segrete. Eppure, nelle vie dissestate d’America, tanta gente continua a fare gli affari suoi come se niente fosse.
Sicuramente, i più sensibili avvertono nei meandri più profondi dei loro cuori che qualcosa di irreparabile è successo o che succederà. Essi però, non osano dire quel che pensano per paura che il loro vicino possa sentire e riferirlo a qualcuno in uniforme o con una pistola o peggio ancora ad un imprenditore con un appalto importante che non vuole impiegati che non condividano lo stato delle cose. E allora, essi pensano, paralizzati dalla paura, chi darà da mangiare ai bambini? Segue un silenzio intimorito.
Chi avrebbe detto che democrazia avrebbe significato tirannia? Certo, Orwell. E tante altre voci impopolari, mai sentite pronunciare dai nostri media imbavagliati.
Chi avrebbe pensato, quando tutto era stato detto e fatto, che l’America si sarebbe rivelata la peggior minaccia alla sopravvivenza di ogni forma di vita su questo pianeta? Ma, come ci ricorda sempre l’annunciatore, queste sono le regole del gioco che non sai mai come andrà a finire.
Ed è così che è finito.
Nessuno osa dire la verità in America, perché se lo facessero, verrebbero rimossi dal sistema corrotto dei profitti, sistema che permette loro di restare soddisfatti e al sicuro (così pensano) dentro le loro case ancora da pagare. Pensiamo solo a quei giornalisti e presentatori strapagati che fingono di essere degli esperti su ciò che succede nel mondo.
Nessuno di loro osa fare il minimo accenno, mentre esprimono tutta la loro opportunistica compassione per gli oltre 250000 morti causati dallo tsunami sospetto nell’Oceano Indiano, che un numero pari di morti innocenti è stato causato dalla loro ipocrisia nelle strade delle tante Falluja di Paesi di cui riescono a malapena a ricordarsi il nome
Nessuno parla del genocidio perenne in Africa Centrale. Nessuno di loro osa fare il minimo accenno al fatto che due fratelli hanno ottenuto, nelle recenti elezioni svoltesi in America, più dell’80% dei voti (ed entrambi hanno mostrato pubblicamente il loro entusiasmo per la rielezione del tiranno in carica) e che si sono verificate delle discrepanze nel conteggio dei voti solo in quei seggi in cui si votava con sistema informatico non verificabile e dappertutto sono state fatte pressioni, sia mentali che fisiche, sui più poveri, affinché non andassero alle urne. O che persino il candidato perdente non ha avuto nulla da eccepire sulla propria sconfitta.
Nessuno di loro osa dire che l’America, il loro Paese, sta uccidendo deliberatamente i suoi soldati facendoli arruolare in un esercito miseramente organizzato dove probabilmente verranno uccisi da quei popoli che stanno cercando di violentare, uccidere ed intimidire allo scopo di far accettare loro il totalitarismo corporativo che stanno sostenendo senza neanche rendersene conto, e che stanno avvelenando i loro corpi con munizioni pericolose che, tra qualche anno, li uccideranno di cancro. Quasi nessuno si rende conto che, nella prima guerra del golfo, sono morti 10.000 americani. Alcuni sedicenti esperti (ci ascolti, Mike Ruppert?) affermano che, d’altronde, una riduzione nella popolazione è positiva, e, sorridendo, lasciano intravedere i loro denti sporchi di sangue.
E nessuno di loro osa fare il minimo accenno all’orrore prefabbricato del'11 settembre e le menzogne a loro uso e consumo che hanno fatto seguito, l’insabbiamento totale definito indagine, l’isterismo vigile che ha scatenato un’assurda brama di sangue nei confronti di quelle persone che loro ci dicono di uccidere e che, guarda caso, sono le stesse che vogliono depredare.
Il comportamento degli Americani in Iraq – le deliberate uccisioni senza fine di spettatori innocenti, i bombardamenti indiscriminati sulle teste di un popolo che siamo convinti di stare liberando e la prevenzione corrotta sull’informazione indipendente che cerca di far luce sui terribili crimini che stiamo commettendo- conferma che gli Stati Uniti sono una nazione di assassini incoscienti che non hanno alcun riguardo per il benessere e la sicurezza di popolazioni del tutto innocenti la cui sola colpa è di risiedere al di fuori dei loro confini. Gli americani nascondono le loro azioni atroci dietro razionalismi a loro uso e consumo cui nessuno crede, nemmeno, ho il dubbio, coloro che li diffondono.
Il comportamento degli Americani comuni – l’accettazione delle menzogne propinate dai loro governi sull’11 settembre, le guerre in Afganistan ed in Iraq e le continue promesse di invasioni di altri Paesi innocenti – conferma che gli Stati Uniti sono una nazione di assassini pazzi, codardi, cattivi, psicotici e senza principi, che ha costantemente minacciato il resto del mondo puntandogli contro i suoi grossi cannoni per fargli accettare il loro imperialismo razzista ed aggressivo.
Non esiste alcuna minaccia terrorista. E’ stata inventata dagli israeliani alla Casa Bianca che volevano distogliere l’attenzione dal genocidio in atto in Israele. L’inganno dell’11 settembre non verrà risolto finché non si farà luce sulla sua componente israeliana e per il momento questo non succederà perché tutto il movimento di scettici che cerca di far luce su questa vicenda è infiltrato di talpe israeliane ed apologisti Sionisti.
Quanto tempo il mondo aspetterà ancora prima di fare qualcosa nei confronti di questa minaccia, ora che esiste la prova concreta che gli Americani, non importa quanti di essi disapprovino questo comportamento consumista sociopatico, non sono in grado di fermare la macchina da guerra corporativa che sostengono con il loro silenzio, facendo precipitare il pianeta in una condizione di tossicità irreversibile.
Gli Americani, con le loro azioni nel passato, si sono rivelati degli assassini psicotici volti alla realizzazione del profitto a spese di chiunque altro nel pianeta.
Devono essere fermati, e se non riescono farlo da soli, allora deve farlo qualcun altro a difesa di ciò che è buono, giusto, nobile ed onesto.
I veri terroristi sono gli Americani (ed i loro amici Inglesi, Israeliani ed Australiani) e bisogna che il resto del mondo si svegli prima che sia troppo tardi per tutti.
Se un giorno gli Stati Uniti consentissero la creazione di una Corte Penale Internazionale davvero onesta (nel cui caso saremo noi a non volerlo) i suoi capi verrebbero sicuramente accusati di genocidio esteso e crimini contro l’umanità e condannati alla massima pena. Il popolo americano, con il suo silenzio connivente, è complice dei suoi leader in tutte le fasi di questi crimini orrendi, e merita la stessa punizione.
Seppur di magra consolazione, un fatidico giorno, il mondo chiederà finalmente all’America di rispondere di tutti i doni che gli ha elargito.
Non dite che non sapevate. Perché quelli con i fucili non ascoltano nessuno.
John Kaminski Fonte: http://www.johnkaminski.com/
Traduzione per http://www.Comedonchisciotte.net a cura di Nicoletta
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Gli stati Uniti hanno usato armi chimiche nell'attacco a Falluja
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by Granma Saturday, Mar. 05, 2005 at 1:08 PM |
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Gli USA hanno attaccato con armi chimiche la città di Fallujah
BAGHDAD, 4 mar (PL).- Un funzionario del Ministero della Sanità citato dal sito web di Al Jazeera, ha denunciato che le truppe nordamericane hanno attaccato con armi chimiche la città irachena di Fallujah durante l’assalto lanciato contro quella località nel novembre scorso.
Il dottor Khalid Ash Shaykhli, responsabile della valutazione delle conseguenze sanitarie dell’operazione, ha dichiarato in una conferenza stampa che gli USA hanno utilizzato armi internazionalmente proibite come i gas asfissiante e nervino.
Nel suo intervento presso una dozzina di giornalisti nazionali e stranieri, Ash Shaykhli ha detto che le indagini realizzate dal suo gruppo medico, hanno accertato che le forze statunitensi hanno utilizzato sostanze proibite.
Rispondendo ad una domanda sul possibile uso limitato di sostanze nucleari da parte degli attaccanti, il Funzionario ha sostenuto che quello che ha visto lì gli ha fatto credere in ciò che si diceva rispetto alle conseguenze delle battaglie con il che ha risposto una domanda sul possibile utilizzo limitato di sostanze nucleari.
Prima lo specialista ha descritto la situazione della popolazione di Fallujah che soffre gli effetti delle sostanze chimiche e di "altri tipi di armi che causano serie malattie a lunga scadenza", ha segnalato il sito digitale della catena televisiva del Qatar.
"Non escludo affatto l’utilizzo di sostanze nucleari e chimiche. Da allora (da quando è stata compiuta l’offensiva) è stata cancellata da quella città ogni traccia della natura", ha spiegato.
"Posso dire addirittura che abbiamo trovato non dozzine, ma centinaia di cani randagi, gatti, uccelli che sono morti a causa di quei gas", ha detto il ricercatore.
Il dottor Ash Shaykhli ha promesso di inviare i risultati delle sue indagini ad altri responsabili in Iraq e all’estero.
"Durante l’offensiva statunitense, gli abitanti di Fallujah hanno detto di aver visto cadaveri sciolti, il che ha suggerito che le truppe nordamericane abbiano utilizzato gas napalm, un composto velenoso di polistirolo e combustibile di aereo che scioglie i corpi".
Al Jazeera ricorda che a novembre dell’anno scorso ci sono stati indizi dell’avvenuto a Fallujah, quando alcuni parlamentari britannici hanno chiesto al primo ministro Tony Blair di riferire alla Camera dei Comuni l’utilizzo del napalm a Fallujah.
Diversi mezzi di stampa coincidono nel fatto che le forze statunitensi sono le uniche a utilizzare quell’arma altamente letale.
Estados Unidos atacó con armas químicas a ciudad iraquí de Fallujah http://www.granma.cu/espanol/2005/marzo/vier4/quimicas.html
BAGDAD, 4 mar (PL).— Las tropas norteamericanas atacaron con armamento químico a la ciudad iraquí de Fallujah durante el asalto que lanzaron contra esa villa en noviembre pasado, denunció un funcionario del Ministerio de Salud, citado hoy por el sitio web de Al Jazeera.
El doctor Khalid Ash Shaykhli, responsable de evaluar las secuelas sanitarias de la operación contra esa ciudad, declaró en conferencia de prensa que Estados Unidos usó armas internacionalmente prohibidas como los gases mostaza y nervioso.
En su intervención ante unas dos decenas de periodistas nacionales y extranjeros, Ash Shaykhli dijo que las investigaciones —hechas por su equipo médico— comprueban que para sus fines las fuerzas estadounidenses emplearon sustancias prohibidas.
El funcionario apuntó que lo visto allí le llevó a creer en lo que se decía respecto a las consecuencias de las batallas, con lo cual respondió a una pregunta sobre el posible uso limitado por parte de los atacantes de sustancias nucleares.
Antes, el especialista describió la situación en que se halla la población de Fallujah, que sufre los efectos de sustancias químicas y de "otros tipos de armas que causan serias enfermedades a largo plazo", apuntó el sitio digital de la televisora qatarí.
"En lo absoluto excluyo el uso de sustancia nucleares y químicas, desde entonces (la ofensiva) todas las formas de la naturaleza fueron borradas de aquella ciudad", explicó.
"Yo puedo decir incluso que encontramos no docenas, sino cientos de perros callejeros, gatos y aves que murieron como resultado de esos gases", amplió el investigador.
El doctor Ash Shaykhli prometió enviar los resultados de sus indagaciones a otros responsables en Iraq y el exterior.
"Durante la ofensiva estadounidense, vecinos de Fallujah reportaron haber visto cadáveres derretidos, lo cual sugirió que las tropas norteamericanas usaron gas napalm, un compuesto venenoso de poliestireno y combustible de avión, que derrite a los cuerpos".
En noviembre del pasado año hubo indicios de lo ocurrido en Fallujah, cuando legisladores británicos demandaron al primer ministro, Tony Blair, explicar a la Cámara de los Comunes sobre el uso del napalm en Fallujah, recuerda Al Jazeera.
Diversos medios de prensa concuerdan en que las fuerzas de Estados Unidos son las únicas que usan esa arma altamente letal.
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Un Marine Americano: "Io, killer di civili innocenti"
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Dal Manifesto Saturday, Mar. 05, 2005 at 1:22 PM |
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IO, UN MERINE KILLER DI CIVILI
«Anch'io ho ucciso civili innocenti, anch'io sono diventato un killer». Parla Jimmy Massey, rientrato negli Usa dal «fronte» iracheno dopo che i primi quattro mesi di guerra lo avevano reso inabile e portato alle soglie della follia. Ora racconta (in un diario che uscirà quest'estate) gli orrori di cui è stato testimone e protagonista in prima persona. «La nostra missione in Iraq non era di uccidere dei terroristi, ma di massacrare civili innocenti». «Ho visto l'orrore di quanto stiamo facendo ogni giorno in Iraq, vi ho preso parte. Siamo solo killer. Uccidiamo, continuamente, innocenti civili iracheni: niente di più. Penso che tutti i contingenti militari stranieri in Iraq debbano essere immediatamente ritirati. E lo dico agli altri soldati, che per evitare punizioni e rappresaglie dell'esercito non vogliono parlare e ammettere che la nostra missione non è di uccidere terroristi ma civili innocenti». E' così, nell'intervista a il manifesto, che Jimmy Massey di Waynesville, piccola comunità del North Carolina, ha deciso di strappare il velo di silenzio che avvolge la «nobile missione» in Iraq. Dimesso dal corpo dei marines per ragioni mediche, ha scritto un diario, «Cowboys from Hell», che verrà pubblicato a fine estate.
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QUAL'ERA LA SUA POSIZIONE IN IRAQ? Ero sergente nel 3° battaglione dei marines durante l'invasione, nella primavera 2003.
QUANTO TEMPO CI E' RIMASTO? Dal 22 marzo al 15 maggio. Quattro mesi d'inferno. Mi hanno dovuto rispedire negli Usa per stressed disorder. E' il termine usato nel gergo militare per dire che a causa dell'orrore vissuto in guerra sono uscito di senno.
E' STATO NEI MARINES PER MOLTI ANNI? Per dodici anni.
ERA MAI STATO IN GUERRA, PRIMA? Mai.
LEI ORA E' MEMBRO DEL GRUPPO «VETERANI DELL'IRAQ CONTRO LA GUERRA». Sì. Mi sono recato in Iraq, inizialmente, con la convinzione di dover eliminare le armi di sterminio di massa. Presto però la mia esperienza di marine mi ha fatto capire che la realtà era tutt'altra. Eravamo dei «killer cowboy». Uccidevamo civili innocenti.
LEI AMMETTE DI AVER UCCISO CIVILI INNOCENTI? Sì. E parecchi.
COME E' AVVENUTO? Vicino alla nostra base a sud di Baghdad abbiamo dato l'assalto, con tutto il mio plotone, a un gruppo di civili che stava svolgendo una manifestazione pacifica. Perché? Perché avevamo udito dei colpi d'arma da fuoco. E' stato un bagno di sangue. Non c'era neppure l'alibi che quei civili potessero essere ingaggiati in «attività terroristiche», come la nostra intelligence voleva farci credere. Abbiamo ucciso più di trenta persone. Quella è stata la prima volta che ho dovuto affrontare l'orrore di avere le mani sporche del sangue di civili. Bombardata anche con cluster bombs, la gente fuggiva e quando arrivava ai posti di blocco dove stavamo con i convogli armati, le indicazioni che ci dava l'intelligence era di colpire quelli che potevano presumibilmente appartenere a «gruppi terroristici».
E VOI COSA FACEVATE? Finivamo per massacrare civili innocenti - uomini, donne e bambini. Quando col nostro plotone abbiamo preso il controllo di una stazione radio non facevamo che inviare messaggi propagandistici diretti alla popolazione, invitandola a continuare la sua routine quotidiana, a tenere aperte le scuole. Noi sapevamo invece che gli ordini da eseguire erano di search and destroy, irruzioni armate nelle scuole, negli ospedali, dove potevano nascondersi i «terroristi». Erano in realtà trappole tese dalla nostra intelligence, ma noi non dovevamo tener conto delle vite dei civili che avremmo ucciso durante queste missioni.
LEI AMMETTE CHE DURANTE LA SUA MISSIONE HA COMPIUTO ESECUZIONI DI CIVILI INNOCENTI? Sì. Anche il mio plotone ha aperto il fuoco contro civili, anch'io ho ucciso innocenti. Sono anch'io un killer.
COME HA REAGITO, DOPO QUESTE OPERAZIONI, PENSANDO AGLI INNOCENTI CHE AVEVA UCCISO? Per un po' sono andato avanti negando a me stesso la realtà - cioè che ero un killer e non un soldato che sa distinguere il giusto dallo sbagliato - poi un giorno, svegliandomi al mattino mi è venuto in mente un giovane, miracolosamente scampato al massacro dei passeggeri della sua auto, che urlando mi chiedeva: «Ma perché hai ucciso mio fratello?». Divenne un'ossessione. Persi il controllo del mio equilibrio psichico. Ero incapace di muovermi e parlare, restavo con lo sguardo atterrito, fisso al muro.
CHE PROVVEDIMENTI HANNO PRESO I SUOI SUPERIORI? Per tre settimane, in Iraq, sono stato imbottito di antidepressivi, farmaci psicotropi. E' il loro pronto intervento per questi casi di «stress traumatico», quando i soldati cadono in preda a questo rifiuto di uccidere.
IIL VOSTRO ADDESTRAMENTO, NEGLI USA, NON VI RENDE L'UNITA' PIU' VIOLENTA ED AGGRESSIVA UTILIZZATA DAL PENTAGONO? Sì. Nel programma denominato boot camp ognuno di noi viene sottoposto a tecniche di «disumanizzazione» e di «desensibilizzazione alla violenza». Ma a me non hanno mai detto che questo voleva dire uccidere civili innocenti.
TRE SETTIMANE IMMOBILIZZATO DA ANTIDEPRESSIVI IN IRAQ. E POI? Non sapendo più cosa fare mi hanno fatto rientrare. Ora sono disabile, dimesso dall'esercito con honorable discharge.
ALTRI SONO NELLE SUE CONDIZIONI? Molti. E sono ancora al fronte. Li imbottiscono di antidepressivi e poi li rispediscono a combattere. E' un problema che ha assunto dimensioni preoccupanti, ma non se ne deve parlare negli ambienti militari. Nel 2004, 31 marines si sono tolti la vita, 85 hanno tentato il suicidio. La maggioranza di coloro che hanno preferito togliersi la vita piuttosto che continuare ad uccidere è sotto i 25 anni, il 16 per cento non ha più di 20 anni.
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Il Vermont Vuole Il Ritiro Delle Truppe
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Dal Manifesto Saturday, Mar. 05, 2005 at 1:27 PM |
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IL VERMONT DICE: "VIA DALL'IRAQ".
Il Vermont, lo Stato Usa più libertario e progressista, al confine con il Canada, chiede all'amministrazione Bush il ritiro delle truppe dall'Iraq. Il referendum, consultivo ma il primo di questo genere, ha avuto luogo ieri in 52 dei 246 comuni dello Stato. Secondo i dati finora disponibili, almeno 37 muncipi si sono pronunciati per il ritiro e solo tre contro. La consultazione, resa possibile dalla mobilitazione dei pacifisti nel raccogliere le firme, sollecita, inoltre, il Congresso statale a rivedere il ricorso alla Guardia nazionale del Vermont nel conflitto. Il Vermont, dopo le Hawaii, è lo Stato dell'Unione che sostiene, in proporzione, il peso maggiore della guerra in Iraq per numero di soldati della Guardia nazionale impegnati (42% del totale degli effettivi) e di riservisti richiamati. La guerra irachena è già costata la vita a 11 abitanti del Vermont, che conta solo 600 mila abitanti (su un totale di quasi 300 milioni): se la stessa percentuale fosse valida a livello nazionale, gli Stati uniti avrebbero avuto 5.500 morti, invece di 1.500 finora ufficialmente contati. La bozza di risoluzione che gli elettori si sono trovati a votare cominciava con: «dal momento che gli Stati uniti non erano minacciati da un attaco da parte dell'Iraq; che Saddam Hussein non aveva armi di distruzione di massa; che Saddam Hussein non aveva avuto un ruolo negli attacchi dell'11 settembre...» e concludeva con la richiesta del ritiro. Gli effetti pratici del voto del Vermont, ovviamente, sono nulli. Ma esso ha raggiunto lo scopo prefisso: che se ne parlasse e che la discussione oltrepassasse i confini dello Stato.
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La verità su Fallujah
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Salam Ismael Saturday, Mar. 05, 2005 at 1:54 PM |
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La verità su Fallujah http://italy.indymedia.org/news/2005/03/744168.php
Il Dott. Salam Ismael lo scorso mese ha portato aiuti a Fallujah. Questa è la storia di come gli Stati Uniti hanno assassinato una città.
All’inizio fu l'odore che mi colpì, un odore difficile da descrivere e che non dimenticherò mai. Era l'odore della morte. Centinaia di cadaveri che si stavano decomponendo nelle case, nei giardini e nelle strade di Fallujah. I corpi marcivano dove erano caduti, corpi di uomini, donne e bambini, molti per metà mangiati dai cani randagi. Una ondata di odio aveva spazzato via due terzi della città, distruggendo case e moschee, scuole ed ospedali. Era la tremenda e spaventosa potenza dell'assalto militare degli USA.
I racconti che sentii nei due giorni successivi vivranno in me per sempre. Voi potete pensare di sapere ciò che è accaduto a Fallujah. Ma la realtà è peggiore di quanto forse potreste avere immaginato.
A Saqlawiya, uno degli improvvisati campi profughi che circondano Fallujah, abbiamo trovato una vecchia di 17 anni. "Sono Hudda Fawzi Salam Issawi del distretto di Jolan a Fallujah", mi disse, "Cinque di noi, compreso un vecchio vicino di 55 anni, quando è cominciato l'assedio sono rimasti intrappolati insieme nella nostra casa a Fallujah.
"Il 9 novembre i marines americani sono arrivati alla nostra casa. Mio padre ed il vicino andarono alla porta per incontrarli. Non eravamo combattenti. Pensavamo di non avere nulla da temere. Sono corsa in cucina per mettere il velo, dal momento che dovevano entrare in casa degli uomini e sarebbe stato inopportuno farmi vedere a testa scoperta.
"Questo mi ha salvato la vita. Appena mio padre ed il vicino si avvicinarono alla porta gli americani aprirono il fuoco su di loro. Morirono all'istante.
"Io e mio fratello di 13 anni ci nascondemmo in cucina, dietro al frigorifero. I soldati entrarono nella casa e presero mia sorella maggiore. La picchiarono. E quindi le spararono. Ma non videro me. Appena se ne erano andati, ma non prima di avere distrutto i nostri mobili ed avere rubato il denaro dalla tasca di mio padre".
Hudda mi raccontò di come ha confortato la sorella morente leggendo versi del Corano. Dopo quattro ore la sorella morì. Per tre giorni Hudda e suo fratello sono rimasti con i loro partenti assassinati. Ma avevano sete e da mangiare avevano soltanto pochi datteri. Temevano che i soldati sarebbero ritornati e decisero di provare a scappare dalla città. Ma vennero individuati da un cecchino USA.
Hudda venne colpita ad una gamba, suo fratello correva ma fu colpito alla schiena e morì all'istante. "Mi preparai a morire", mi disse. "Ma fui trovata da una soldatessa americana che mi portò all'ospedale". Alla fine si ricongiunse ai membri sopravvissuti della sua famiglia.
Trovai anche altri sopravvissuti di un'altra famiglia del distretto di Jolan. Mi dissero che alla fine della seconda settimana di assedio le truppe USA percorsero Jolan. La Guardia Nazionale irachena utilizzava altoparlanti per chiedere alla gente di uscire dalle case portando bandiere bianche, portando con se tutti i loro effetti personali. Venne loro ordinato di raccogliersi fuori vicino alla moschea di Jamah al-Furkan, nel centro della città.
Il 12 novembre Eyad Naji Latif ed otto membri della sua famiglia, uno di loro un bambino di sei mesi, raccolsero i loro effetti personali e camminarono in una unica fila, secondo le istruzioni, verso la moschea.
Quando raggiunsero la strada principale all'esterno della moschea udirono un grido, ma non riuscirono a capire cosa veniva gridato. Eyad mi ha detto che poteva essere stato "ora" in inglese. Poi iniziarono gli spari.
I soldati USA apparvero dai tetti delle case circostanti ed aprirono il fuoco. Il padre di Eyad venne colpito al cuore e sua madre al petto. Morirono all'istante. Anche due dei fratelli di Eyad furono colpiti, uno al petto ed uno al collo. Due delle donne vennero colpite, una ad una mano e l'altra ad una gamba.
Quindi i cecchini uccisero la moglie di uno dei fratelli di Eyad. Quando cadde, suo figlio di cinque anni corse da lei e rimase sopra il suo corpo. Uccisero anche lui. I sopravvissuti fecero ai soldati dei disperati appelli perché cessassero il fuoco. Ma Eyad mi disse che ogni volta che uno di loro tentava di alzare una bandiera bianca veniva colpito. Dopo diverse ore provò di alzare il braccio con la bandiera. Ma lo colpirono al braccio. Infine provò ad alzare la mano. Così lo colpirono alla mano.
I cinque sopravvissuti, compreso il bambino di sei mesi, stettero distesi sulla strada per sette ore. Poi quattro di loro strisciarono fino alla casa più vicina per trovare riparo. Il mattino successivo anche il fratello che era stato colpito al collo riuscì a strisciare verso la salvezza. Rimasero tutti nella casa per otto giorni, sopravvivendo di radici e di una tazza d'acqua che avevano risparmiato per il bambino.
L'ottavo giorno furono scoperti da alcuni membri della Guardia Nazionale irachena e portati in ospedale a Fallujah. Essi sentirono che gli americani arrestavano tutti gli uomini giovani, così la famiglia fuggì dall'ospedale e ottenne finalmente delle cure in una città vicina.
Essi non sanno in dettagli cosa accadde alle altre famiglie che erano andate verso la moschea come ordinato. Ma mi dissero che la strada era bagnata di sangue.
Ero arrivato a Fallujah in gennaio come parte di un convoglio di aiuti umanitari finanziato da donazioni britanniche. Il nostro piccolo convoglio di camion e pulmini portava 15 tonnellate di farina, otto tonnellate di riso, medicinali e 900 capi di vestiario per gli orfani. Sapevamo che migliaia di profughi erano accampati in condizioni terribili in quattro campi alla periferia della città.
Lì sentimmo racconti di famiglie uccise nelle loro case, di feriti trascinati in strada ed investiti con i carri armati, di un container con dentro i corpi di 481 civili, di assassinio premeditato, saccheggio ed atti di ferocia e crudeltà che superano ogni immaginazione.
Per tale motivo decidemmo di entrare a Fallujah a investigare. Quando entrammo in città quasi non riconoscevo il posto dove avevo lavorato come medico nell'aprile del 2004, durante il primo assedio.
Trovammo persone che vagavano come fantasmi tra le rovine. Alcuni cercavano i corpi dei parenti. Altri cercavano di recuperare dalle case distrutte alcuni dei loro beni. Qua e là, piccoli gruppi di persone facevano la coda per carburante o cibo. In una coda alcuni sopravvissuti lottavano per una coperta.
Ricordo di essere stato avvicinato da un'anziana donna, i suoi occhi gonfi di lacrime. Mi afferrò per il braccio e mi raccontò di come la sua casa era stata colpita da una bomba USA durante un'incursione aerea. Il soffittò crollo sul figlio di 19 anni, tagliandogli entrambe le gambe.
Non poté ottenere aiuto. Non poteva andare in strada perché gli americani avevano postato cecchini sui tetti ed uccidevano chiunque si avventurasse fuori, anche di notte. Fece del suo meglio per fermare l'emorragia, ma fu inutile. Rimase con lui, il suo unico figlio, finché questi morì. Ci vollero quattro ore perché morisse.
Il principale ospedale di Fallujah fu preso dalle truppe USA nei primi giorni dell'assedio. L'altra sola clinica, la Hey Nazzal, venne colpita due volte dai missili USA. I suoi medicinali e l'attrezzatura medica vennero tutti distrutti.
Non c'erano ambulanze, le due ambulanze che venivano ad aiutare i feriti furono colpite e distrutte dalle truppe USA.
Abbiamo visitato case del distretto di Jolan, un'area povera di lavoratori nella parte nord occidentale della città che era stata il centro della resistenza durante l'assedio di aprile.
Sembrava che questo quartiere fosse stato scelto per la punizione durante il secondo assedio. Ci spostavamo di casa in casa, scoprendo famiglie morte nei loro letti, o abbattute in soggiorno o in cucina. Tutte le case avevano i mobili fracassati ed i beni sparpagliati.
In alcuni posti trovammo corpi di combattenti, vestiti in nero e con le cartucciere. Ma, nella maggior parte delle case, i corpi erano di civili. Molti erano in vestaglia, molte delle donne non avevano il velo, il che significa che nella casa non vi erano altri uomini che quelli della famiglia. Non vi era nessuna arma, nessun bossolo.
Ci divenne chiaro che eravamo testimoni delle conseguenze di un massacro, il macello a sangue freddo di civili inermi ed indifesi.
Nessuno sa quanti sono morti. Ora le forze d'occupazione spianano i quartieri con i bulldozer per coprire il loro crimine. Ciò che è accaduto a Fallujah è stato un atto di barbarie. La verità deve essere raccontata al mondo intero.
Il video che accompagna questo rapporto si trova nel sito Information Clearing House:
http://www.informationclearinghouse.info/article8076.htm The Legacy of Fallujah, video features Dr Salam Ismael.
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BUSH FU AVVERTITO DI POTER ESSERE IMPUTATO COME CRIMINALE DI GUERRA
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Granma Saturday, Mar. 05, 2005 at 9:20 PM |
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BUSH FU AVVERTITO DI POTER ESSERE IMPUTATO COME CRIMINALE DI GUERRA
http://italy.indymedia.org/news/2005/03/744558.php
LE TORTURE AI PRIGIONIERI Bush fu avvertito di poter essere imputato come criminale di guerra
• Un articolo della giornalista nordamericana Jane Mayer, pubblicato dalla rivista ‘New Yorker’, spiega come la Casa Bianca, violando la convenzione internazionale sui prigionieri di guerra, ha aperto la porta a tutti gli eccessi avvenuti nei centri di interrogatorio del Pentagon
JEAN-GUY ALLARD (speciale per GI) Nel gennaio 2002, quando il presidente nordamericano Bush sospese per le sue truppe l’applicazione della Convenzione di Ginevra, il Consigliere giuridico del Dipartimento di Stato chiese agli avvocati della Casa Bianca di avvertire con urgenza il presidente del fatto che avrebbe potuto essere eventualmente perseguito per “crimini di guerra”.
Questa notizia assume una particolare importanza nel momento in cui a Ginevra si riunisce la Commissione sui Diritti Umani.
E’ stata appena rivelata in un articolo della giornalista nordamericana Jane Mayer, pubblicato dalla rivista ‘New Yorker’, con il titolo “Outsourcing Torture” (Dare in appalto la tortura), dove spiega come, mettendo da parte le convenzioni internazionali relative ai prigionieri di guerra, compresa la Convenzione contro la tortura dell’ONU, la Casa Bianca dette il via libera a tutti gli eccessi verificatisi successivamente nei centri di interrogatorio del Pentagono.
In un memorandum datato 11 gennaio 2002 e diretto a John C. Yoo, Consigliere giuridico del presidente Bush su questo tema, il Consigliere giuridico del Dipartimento di Stato William Taft IV, chiese allo stesso Yoo e ad Alberto Gonzáles, attuale Segretario alla Giustizia, di avvertire urgentemente il presidente che “potrebbe essere considerato dal resto del mondo come un criminale di guerra”, a seguito della decisione di sospendere l’applicazione della Convenzione di Ginevra per quanto riguarda il trattamento dei prigionieri delle sue truppe.
Bush aveva annunciato questa decisione tre giorni prima.
Nel documento di 40 pagine che non è mai stato pubblicato, Taft argomentò che l’analisi di Yoo su questo tema è “seriamente imperfetta”.
Segnalando che la pretesa di Yoo che il presidente possa non applicare la Convenzione di Ginevra è “insostenibile”, “scorretta” e “confusa”, Taft respinse anche l’argomentazione che l’Afghanistan fosse uno “Stato fallito” e che pertanto non fosse coperto dai trattati.
L’avvocato del Dipartimento di Stato avvertì poi Yoo “che se gli Stati Uniti partecipano alla guerra contro il terrorismo al di fuori della Convenzione di Ginevra, non solo i soldati statunitensi potrebbero venire processati per crimini comprendenti l’assassinio, ma che lo stesso presidente Bush potrebbe essere accusato di ‘violazione grave’ (di queste Convenzioni) da altri paesi e venir giudicato per crimini di guerra”.
Taft inviò una copia della sua lettera ad Alberto González per essere sicuro che George Bush venisse informato.
L’avvertimento di Taft non ebbe alcun effetto su Bush, che mantenne la sua decisione.
Secondo la giornalista del ‘New Yorker’, le opinioni legali degli avvocati della Casa Bianca sul tema della tortura sono sempre state redatte lasciando “buchi”. Nel febbraio 2002 Bush emise una direttiva scritta dicendo che, a prescindere dalla sospensione dell’applicazione della Convenzione, tutti i detenuti dovevano essere trattati “umanamente”. Tuttavia, leggendo attentamente il documento, uno si rende conto che è diretto solamente ai militari e non agli ufficiali della CIA. Questo ha permesso che gli addetti agli interrogatori dell’Agenzia continuassero ad utilizzare una vasta gamma di tecniche abusive.
In agosto, lo stesso Yoo emise un’orientamento dove la tortura veniva definita come un tentativo di infliggere sofferenze “equivalenti in intensità al dolore che accompagna una ferita fisica seria, tale come la mancanza di un organo, l’impedimento di funzioni corporali, o anche la morte”. Un altro memorandum segreto redatto dagli avvocati di Bush ha poi autorizzato la CIA ad usare “nuovi” metodi di interrogatorio, compreso il “water-boarding”, con il quale il “sospetto” viene legato per poi sommergerlo nell’acqua, allo scopo di fargli provare la sensazione di annegare.
Secondo Yoo, la Costituzione degli USA conferisce al Presidente tutti i poteri per sopprimere l’applicazione della Convenzione sulla Tortura delle Nazioni Unite. Per l’avvocato della Casa Bianca il Congresso non ha il potere di legare le mani al presidente sulla tortura e le tecniche di interrogatorio. “E’ nell’essenza stessa delle funzioni di Comandante in Capo. Non possono impedire al Presidente di ordinare la tortura”, ha detto il Consigliere giuridico di Bush.
L’articolo di Jane Mayer è incentrato sull’uso della procedura di “resa”, che ha permesso alla CIA di consegnare un numero sconosciuto di prigionieri a paesi dove sapeva che questi sarebbero stati torturati, allo scopo di lasciare ad altri il lavoro sporco ed ottenere informazioni.
Mayer cita il caso di Ibn al-Sheikh al-Libi, un presunto alto dirigente di Al Qaeda, catturato in Pakistan e consegnato alla CIA. Libi era considerato il dirigente di un campo di addestramento del gruppo estremista a Khamden, in Afghanistan.
Mentre il FBI si diceva soddisfatto della “collaborazione” di Libi negli interrogatori, la CIA non condivideva questa opinione. Libi per l’Agenzia era “scomparso”, consegnato ad un paese amico per essere interrogato... E l’FBI aveva perduto le sue tracce.
E’ riapparso mesi dopo nel Campo per interrogatori nordamericano di Guantánamo.
Colin Powell aveva usato nel febbraio 2003, davanti al Consiglio di Sicurezza, le sue “confessioni” ottenute per mezzo della tortura, per “dimostrare” che l’Iraq possedeva “armi chimiche o biologiche” e giustificare l’invasione e l’occupazione di questa nazione.
Certamente, come oggi è stato comprovato, quelle “informazioni” ottenute a forza di maltrattamenti erano totalmente false.
Nel campo per interrogatori nordamericano di Guantanamo è anche riapparso, in modo simile, un altro “desaparecido” della CIA, Marndouh Habib, un cittadino australiano di origine egiziana, arrestato in Pakistan nell’ottobre del 2001 e consegnato alla CIA.
I nordamericani gli hanno messo una maschera opaca, un pigiama arancione e lo hanno fatto salire su un aereo privato per portarlo in un paese “amico” e consegnarlo agli addetti all’interrogatorio.
“L’interrogatorio” è durato 6 mesi, racconta Mayer.
“Ha detto di essere stato picchiato frequentemente con strumenti contundenti, incluso un oggetto che lui ha descritto come uno strumento di tortura che trasmette scosse elettriche e che viene utilizzato con il bestiame. Gli hanno detto che se non confessava di appartenere a Al Qaeda, sarebbe stato violentato nell’ano da cani addestrati per questo. (...) Habib ha detto di essere stato ammanettato e costretto a stare in piedi in tre camere di tortura: una stanza piena d’acqua che gli arrivava fino al mento costringendolo a stare in punta di piedi per ore, un’altra camera piena d’acqua fino ai ginocchi con il tetto così basso che era costretto a stare coccoloni per un tempo prolungato, mentre nella terza l’acqua arrivava alle caviglie e lui poteva vedere un interruttore elettrico e un generatore che secondo quel che gli dicevano le guardie sarebbe stato utilizzato per ammazzarlo se non confessava. L’avvocato di Habib ha detto che il suo cliente si è arreso alla volontà dei suoi aguzzini e ha fatto confessioni molteplici, tutte quante false”.
Habib, un uomo d’affari, è stato finalmente liberato da Guantanamo un mese fa, su insistenza del governo australiano, dopo tre anni di detenzione e maltrattamenti, senza che sia stata formulata contro lui la benchè minima accusa.
Secondo il servizio di Mayer, 150 individui sono stati spostati per la loro “resa” dal 2001, molti di loro in un piccolo aereo bianco di 14 posti appartenente alla CIA, di marca Gulfstream V, con le lettere di identificazione N8068V. Un numero indeterminato di prigionieri, la cui identità è sconosciuta, rimangono sequestrati nella rete di prigioni segrete della CIA.
Mentre a Ginevra la Commissione dei Diritti Umani dell’ONU è riunita, il servizio del ‘New Yorker’ suona come una confessione. E un atto di accusa.
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Come muore un Italiano
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Beppe Grillo Sunday, Mar. 06, 2005 at 3:10 PM |
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Come muore un Italiano http://www.beppegrillo.it/index.html
La politica di Bush verso la stampa è semplice. Usa due strumenti:
1) giubbotto antiproiettile 2) mitraglia e cannone
I giubbotti antiproiettile sono per i giornalisti amici, cioè quelli "incorporati" (embedded) all'interno delle truppe statunitensi di invasione.
Mitraglia e cannone sono per tutti gli altri.
Ieri sera il militare italiano Nicola Calipari si è buttato sulla "non incorporata" Giuliana Sgrena per proteggerla dalla mitraglia statunitense. I soldati di Bush gli hanno "incorporato" una raffica di mitra, uccidendolo.
"Noi siamo spendibili, gli ostaggi no" aveva dichiarato il militare.
Come muore un italiano lui non l'ha detto. Ma lo ha fatto vedere. Un vero eroe italiano.
3000 soldati su 130.000 non servono a niente. Sono solo un'operazione pubblicitaria, senza alcun esito sulla guerra in Iraq.
Spero che il Presidente del Consiglio dimostri di avere almeno metà di una delle palle che il suo amico Craxi dimostrò di avere a Sigonella. Ritiri subito i militari dall'Iraq.
Ha fatto causa all'Economist e a me. Ora faccia causa a Bush. Incarichi alcuni fra i cento avvocati che ha portato in Parlamento di difendere in tribunale non solo le sue aziende ma anche l'onore di Nicola Calipari e degli Italiani.
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Iraq: Reporter senza frontiere chiede all'Onu di aprire un'inchiesta
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Reporter senza frontiere Sunday, Mar. 06, 2005 at 4:31 PM |
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Iraq: Reporter senza frontiere chiede all'Onu di aprire un'inchiesta http://www.rsf.org/sgrena-it.php3
5 marzo 13:00 - Reporter senza frontiere chiede all'Onu di aprire un'inchiestasulla sparatoria delle forze americane a Baghdad "Chiediamo che sia fatta luce sulle circostanze della sparatoria ad opera delle forze armate americane, nella quale un agente dei servizi segreti italiani è stato ucciso e la giornalista Giuliana Sgrena ferita. Un'inchiesta approfondita deve essere condotta rapidamente dalle Nazioni Unite su questo incidente che ha avuto conseguenze tragiche", ha dichiarato Robert Ménard, segretario generale di Reporter senza frontiere.
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"blue on blue": una testimonianza
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Dall'ansa Sunday, Mar. 06, 2005 at 5:10 PM |
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UNA BODY GUARD ITALIANA RACCONTA, 2 VOLTE SCAMPATA AL FUOCO AMICO ROMA - Una cittadina italiana, Valeria Castellani, e' rimasta coinvolta in passato 2 volte in episodi di 'fuoco amico' con soldati americani mentre svolgeva la sua attivita' di body guard a Baghdad, nello stesso tratto di strada dove due giorni fa c'e' stata la sparatoria in cui e' morto Nicola Calipari. Lo ha rivelato oggi all'Ansa la stessa Castellani, che in entrambi i casi e' rimasta illesa.
''Purtroppo - spiega Castellani, che ora si trova in Italia - tutti coloro che lavorano come body guard in Iraq devono fare i conti con il problema del 'blue on blue', il cosiddetto fuoco amico. Puo' capitare tra body guard di diverse ditte che non si riconoscono, o tra body guard e soldati americani. Questo perche' la tensione e' alta e il pericolo di saltare in aria innervosisce un po' tutti''.
''A me personalmente e' successo 2 volte'', racconta. ''Eravamo sulla strada dell'aeroporto a velocita' sostenuta e da una strada laterale sono sbucati a tutta velocita' dei mezzi americani. I soldati Usa, evidentemente spaventati per la presenza di un'auto civile vicino a loro, ci hanno sparato. Per fortuna ci hanno solo bucherellato l'auto, ma un'altra volta un collega e' rimasto leggermente ferito ad una spalla. Nulla di grave''.
Secondo la vicentina Valeria Castellani - il cui nome e' noto perche' coinvolta in un'inchiesta sul presunto reclutamento di body guard, tra cui alcuni degli ex ostaggi italiani - gli episodi di 'fuoco amico' sono in un certo senso fisiologici nella situazione attuale che vive l'Iraq. ''Bisogna fare i conti con la realta' - spiega - e la realta' e' che in Iraq c'e' una guerra in corso. Bisogna tenere gli occhi aperti e se un'auto sospetta si avvicina troppo velocemente alla tua, allora spari. Forse crudo, disumano, allucinante, ma questa e' la guerra''. [ http://www.ansa.it/main/notizie/fdg/200503061615189982/200503061615189982.html ]
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La Sgrena: "Non escludo di essere stata io l'obiettivo della sparatoria"
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Dall'ansa Sunday, Mar. 06, 2005 at 5:34 PM |
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ROMA - Giuliana Sgrena non esclude di essere stata proprio lei l' obiettivo della sparatoria avvenuta dopo la sua liberazione e che e' costata la vita al funzionario del Sismi Nicola Calipari. Lo ha detto la stessa giornalista a Skytg24. ''E' noto a tutti - ha spiegato - che gli americani non vogliono trattative per la liberazione degli ostaggi'', ''per cui - ha aggiunto - non vedo perche' dovrei escludere di essere stata io il loro obiettivo''. L' inviata del Manifesto non tornera' in Iraq. Lo ha detto lei stessa a Skytg24, sostenendo che attualmente ''non ci sono condizioni per fare informazione''. ''Ho capito che loro - ha detto riferendosi ai suoi sequestratori - che non vogliono testimoni e che siamo tutti percepiti come possibili spie''. ''Non so se e' stato pagato un riscatto'', ha aggiunto raccontando che i suoi sequestratori le hanno chiesto scusa prima di liberarla.
ROMA - Ai suoi amici che rivede dopo un mese durissimo dice un semplice 'ciao', accompagnato da un affaticato sorriso. Ma Giuliana Sgrena non riesce a distogliere il pensiero da Nicola Calipari, l'uomo del Sismi che le e' morto tra le braccia per proteggerla dai proiettili americani. ''E' stato quello il momento piu' difficile. Provo un grande dolore''. E anche rabbia. Perche' quella sparatoria ''non era giustificata''.
A Roma, appena atterrata all'aeroporto di Ciampino, le prime parole della giornalista sono state per i suoi amici del Manifesto. ''Ciao. Grazie''. E poi un sorriso. ''Proprio come il giorno che l'ho lasciata'', dice Gabriele Polo, il direttore. ''Non mi hanno mai trattata male, anzi direi di essere stata trattata bene. E se non fosse successa la cosa di ieri sera sarebbe andata certo meglio'', racconta Giuliana.
Volto tumefatto, apparentemente impaurita, un plaid sulle spalle, il braccio destro fasciato, sale a bordo dell'ambulanza che la trasporta al Celio. Qui, in ospedale, riesce a parlare finalmente per con i suoi genitori. Il fratello Ivan le passa il telefono. Pochi secondi. ''Voi come state?''. ''Noi bene, e tu?''. ''Bene''. ''Sono contenta di essere tornata'', dice poi a Valentino Parlato.
E' stanca, spossata, ma afferma di voler ''immediatamente collaborare'' con gli investigatori. Ed infatti i pm della procura di Roma non aspettano un altro giorno per interrogarla. Con gli inquirenti, e in un'intervista telefonica a Rainews24, ricostruisce alcune fasi del sequestro e, soprattutto, quel drammatico epilogo.
''Sono stata sempre nella stessa casa e tenuta sempre dallo stesso gruppo di rapitori. Comunicavamo in inglese e francese. Alcuni erano a viso coperto, altri no. C'era anche una donna: lei era sempre con il volto coperto. Mi hanno trattata bene - ha ripetuto - non mi e' mai mancata l'assistenza''.
Quindi la liberazione, e poi la fuga verso l'aeroporto. ''Non andavamo molto veloci, date le circostanze. Ad un tratto una pioggia di fuoco ha colpito la nostra auto proprio mentre parlavo con Nicola Calipari, che mi stava raccontando quello che era accaduto nel frattempo in Italia. Lui si e' appoggiato a me, probabilmente per difendermi, e poi si e' accasciato ed ho scoperto che era morto''.
''Il fuoco continuava - prosegue la giornalista - perche' l'autista non riusciva neanche a spiegare che eravamo italiani. E' stata una cosa veramente terribile''.
''Sono provata - dice ancora l'inviata del Manifesto - per quello che e' successo soprattutto nelle ultime 24 ore. E con il rischio che ho corso posso dire di stare bene. Mi ha scosso particolarmente perche' pensavo che ormai il pericolo fosse finito dopo la mia riconsegna agli italiani, invece improvvisamente c'e' stata questa sparatoria e siamo stati colpiti da una pioggia di fuoco''.
Secondo Giuliana Sgrena, e anche per l'altro funzionario del Sismi ferito, ''l'azione di fuoco non era giustificata dall'andamento della nostra auto. Non era un check point, ma una pattuglia che ha sparato subito dopo averci illuminato con un grosso faro''.
In precedenza, durante il viaggio che l'ha riportata in Italia, Giuliana Sgrena aveva provato a raccontare il fiume di emozioni provate durante il sequestro - e soprattutto dopo - al suo compagno, Pier Scolari. Anche in quella circostanza il suo pensiero e' andato al funzionario del Sismi ucciso. ''Il momento piu' difficile e' stato quando ho visto morire tra le mie braccia la persona che mi aveva salvato'', le ha detto
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Pier Scolari: "Gli Usa volevano ucciderla"
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Dall'ansa Sunday, Mar. 06, 2005 at 5:45 PM |
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SGRENA: LA VERITA' DI PIER, GLI USA VOLEVANO UCCIDERLA ROMA - Un agguato. Un agguato per uccidere Giuliana perche' lei, giornalista sempre in prima linea ''aveva delle informazioni'', e loro, gli americani, ''non volevano che uscisse viva da questa storia''. E' questa la verita' per Pier Scolari, compagno affettuoso e militante di Giuliana Sgrena. E' questa la sua verita' e la ripete, la precisa, la certifica sottolineando ''Giuliana mi ha detto''. Giuliana gli ha raccontato la sua terribile esperienza ''durante il viaggio in aereo'' da Baghdad a Roma. Gli ha detto del sequestro, della paura, dello shock. E soprattutto del dolore profondo, ''del momento peggiore, quando ho visto morire tra le mie braccia Nicola Calipari, la persona che mi aveva salvato''. Tanto e' duro con gli americani Pier Scolari, ''autori di un agguato o sprovveduti tanto da affidarsi a ragazzini impreparati pronti solo a sparare'', tanto e' dolce nel ricordo di Nicola Calipari ''uno che non parlava ma sapeva come agire, un uomo capace di salvare una donna''. Salvarla dall'inferno dell'Iraq ma ''non da 400 pallottole, da una pioggia di fuoco, da un agguato''. Scolari e' freddo e preciso nella sua accusa, non arretra davanti alla sua verita': ''i rapitori lo avevano detto a Giuliana, le avevano detto di stare attenta perche' gli americani la volevano uccidere, le avevano consigliato cautela''. Consigli dati, giura Scolari, ''poche ore prima del rilascio''. E ancora, a riprova della fondatezza della sua verita', Scolari sottolinea che ''gli americani come gli italiani erano stati avvisati del passaggio dell'auto: erano a soli 700 metri dall'aeroporto e avevano passato tutti i controlli''. Insomma la liberta' e la salvezza erano proprio vicine ma poi all'improvviso, e' ancora il racconto di Pier, ''l'auto e' stata illuminata da un fascio di luce ed e' stata investita da una pioggia di fuoco: Giuliana ha raccolto decine di proiettili, a manciate, sul sedile dopo la sparatoria''. Proiettili che hanno ferito la giornalista e altri due agenti del Simsi. Ma soprattutto che hanno ucciso Nicola Calipari, dice Scolari, ''colpito alla testa, morto sul colpo''. Morto tra le braccia di Giuliana. Forse anche per questo la moglie di Calipari ha voluto incontrare la giornalista: ''un incontro commovente -dice sempre Pier- lei voleva sapere le ultime parole del marito, ci siamo abbracciati, ci siamo detti cose nostre''. Cose che parlano di un dolore non uguale ma condiviso fino in fondo. ''Quando ho conosciuto Nicola Calipari ho capito che mi avrebbe riportato Giuliana e cosi' ha fatto'', dice Pier Scolari ricordando un poliziotto che ormai era un amico ''intelligente, perspicace''. Un poliziotto morto ''offeso dalla versione fornita dagli americani'', dice deciso. Gli americani che parlano ''di uno sfortunato incidente'' per replicare all' ostinazione dolente di Pier, alla sua convinzione di ''un agguato per uccidere Giuliana, un agguato per cancellare il lieto fine''. Che non c'e' stato. E l'ultimo pensiero di Pier va a Nicola Calipari. ''Stasera andro' all'aeroporto di Ciampino, andro' ad accogliere la salma di un uomo che ha salvato Giuliana'', dice Scolari. Lo stesso aeroporto dove stamani Pier era arrivato con la sua compagna, libera, ferita ma viva. Lo stesso punto d'arrivo per Giuliana e Nicola. Ma un finale diverso.
[ http://www.ansa.it/main/notizie/fdg/200503061415189908/20050305195033308885_ass.html ]
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Shooting the Messenger [it]
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Eason Jordan Sunday, Mar. 06, 2005 at 5:48 PM |
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Shooting the Messenger http://italy.indymedia.org/news/2005/03/745171.php by Eason Jordan
Uno dei più importanti dirigenti dell’informazione via cavo, Eason Jordan della CNN, è stato costretto a dimettersi dopo aver partecipato ad un dibattito al Forum dell’Economia Mondiale a gennaio. In un momento di rara sincerità, sembra che Jordan abbia detto che i militari degli Stati Uniti avevano preso di mira una dozzina di giornalisti che erano stati uccisi in Iraq. I commenti hanno provocato una tempesta su Internet, fomentata dai sostenitori di destra, che hanno condotto Jordan a ritrattare, a chiedere scusa ed infine a dimettersi dopo ventitre anni trascorsi al network, "nello sforzo di impedire che la CNN fosse ingiustamente infangata dalla polemica."
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convenzione di ginevra
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giurista Sunday, Mar. 06, 2005 at 6:18 PM |
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Primo Protocollo di Ginevra del 1977:
"Allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile ed i combattenti, nonché fra beni di carattere civile e gli obiettivi militari, e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari" (art. 48).
se giuridicamente il convoglio della sgrena e del sismi non è un obiettivo militare gli usa hanno violato la convenzione.
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dipende
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anti u$a Sunday, Mar. 06, 2005 at 9:08 PM |
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l'america ci U$A e getta tutti. Allora finche' gli yankee si massacrano co sto cavolo di blue on blue a me sta pure bene:troppo fico vederli trucidati dal fuoco amico!
Qualcuno mi puo' dire che non me lo ricordo: quanti soldati della Royal Force inglesi sono caduti vittime del cosidetto <fuoco amico>?
Troppo figo :)
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19 settembre 2003 - "Fuoco amico" vs. diplomatico italiano
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io:) Tuesday, Mar. 08, 2005 at 12:34 AM |
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FUOCO AMICO COLPISCE AUTO DIPLOMATICO ITALIANO (19/9/2003) Mosul - Fuoco amico sull'ambasciatore italiano in Iraq Pietro Cordone: l'auto su cui viaggiava il diplomatico è stata colpita per errore da un soldato americano a un posto di blocco sulla strada tra Mosul e Tikrit. Cordone è rimasto illeso mentre è morto l'interprete iracheno con cui il diplomatico viaggiava. L'incidente in cui è rimasto coinvolto Cordone risale a ieri pomeriggio. A quanto si apprende, mentre l'auto sulla quale viaggiava Cordone era nelle vicinanze del posto di blocco, è partito un colpo di arma da fuoco, in circostanze non ancora del tutto chiarite, che ha ucciso l'interprete che si trovava con il diplomatico italiano. Le autorità civili americane hanno espresso, al più alto livello, il loro rincrescimento per l'accaduto. Noto arabista ed esperto in affari mediorientali, l'ambasciatore Pietro Cordone ha l'incarico di consigliere per gli affari culturali presso il governo provvisorio iracheno - composto da 14 funzionari, 13 dei quali statunitensi - nominato dalle forze della coalizione per ricostituire l'infrastruttura statale dell'Iraq e ripristinare il patrimonio culturale e archeologico danneggiato dai saccheggi seguiti alla caduta di Saddam.
da "La Repubblica", 19 settembre 2003. http://www.repubblica.it/2003/i/sezioni/esteri/iraq2/iraq2/iraq2.html
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E LO CHIAMANO "FUOCO AMICO".
Lo chiamano “fuoco amico” ed e' una delle espressioni piu' idiote della fraseologia militare. Per loro sono solo incidenti, che rientrano nella casistica dei danni collaterali, quasi inevitabili in un conflitto. Numeri, statistiche dietro le quali pero' ci sono sempre e comunque esseri umani. Saad Mohammed era un uomo di 33 anni, aveva una moglie e due figli. A maggio, appena finita la guerra, aveva avuto un gran colpo di fortuna: era diventato l'interprete di Pietro Cordone, un ambasciatore in pensione che era stato spedito dal governo italiano a Baghdad per dare una mano agli americani nella prima fase della ricostruzione. Cordone e' una persona saggia e prudente. Malgrado sia anziano e a tratti possa apparire un po' affaticato, ha uno sguardo vispo e acuto. Una persona colta, dalla conversazione piacevole che prima di andare in pensione ha girato come ambasciatore quasi tutto il mondo arabo. E per un iracheno altrettanto colto e intelligente come doveva essere Saad, lavorare con Cordone deve essere stata una bellissima esperienza. Finita in un soffio sulla strada tra Tikrit e Mossul mentre in viaggio con l'ambasciatore e la moglie, entrambi affamati di cultura araba, conversavano amabilmente. Ad ucciderlo un mitragliere americano che era a bordo di un Humvee, una jeep bassa e tozza che ha una torretta rotante. Tutto e' avvenuto per un tentativo di sorpasso. Cordone ha un ricordo molto nitido di quello che e' avvenuto. “Dopo aver fatto segno che non potevamo sorpassare e mentre il nostro autista riduceva la velocita' -racconta il diplomatico- ho visto chiaramente che il soldato armava la mitragliatrice. Ho pensato che volesse solo spaventarci. E invece quell'imbecille ha premuto il grilletto”. Un colpo solo, di grosso calibro che e' entrato in diagonale dal parabrezza, ha colpito al petto il povero Saad che era seduto davanti al posto del passeggero e che, proseguendo, ha ferito leggermente al braccio Cordone che si trovava dietro l'autista. La traiettoria del proiettile, che entrato a destra ed e' uscito a sinistra, lascia pensare che il mitragliere ha sparato quasi subito, senza dare il tempo all'autista di rientrare. I due automezzi americani proseguono la corsa mentre l'auto di Cordone si ferma a lato della strada. L'agonia dura pochi minuti e prima di arrivare all'ospedale di Tikrit, Saad Mohammed muore. “E' stato orribile, l'auto era piena di sangue, mi e' morto tra le braccia”, ricorda Cordone con il viso tirato, mentre la moglie in un cantuccio cede nuovamente alle lacrime. E cosi' la lista delle vittime di questa pax americana si allunga: un morto, una vedova e due orfani. E forse anche Cordone, che era stato indicato dal governo Berlusconi e che e' stato favorevole alla guerra, inizia a cambiare idea. E' troppo prudente per esprimere critiche a voce alta. Certo e' che prima ha potuto toccare con mano il disinteresse americano verso una vera ricostruzione (i soldi, quelli veri, non sono ancora arrivati) e adesso stava anche per rimetterci la pelle. Prudente, si. Cieco, no.
http://www.teleblog.tv/index.php?article=34
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DECAPITATA LA NOSTRA RETE DI INTELLIGENCE IN IRAQ
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CORSERA .IT Wednesday, Mar. 09, 2005 at 5:45 PM |
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CALIPARI. DECAPITATA LA NOSTRA RETE DI INTELLIGENCE IN IRAQ / CORSERA .IT Renato Corsini.Lunedì, 07 marzo
Questo è il risultato dell'agguato, dell'incidente, dell'errore, della fatalità, ognuno dica la sua nella vana ricerca di una verità oggettiva.La struttura Operazioni internazionali del Sismi dipendeva da Calipari e operava nel medio oriente la più complessa e difficile area di turbolenza politica e militare. In Iraq il nostro 007, senza licenza di uccidere a differenza dei suoi colleghi della Cia, agiva sfruttando le relazioni intessute durante il regime di Saddam dal Sismi in rotta di collisione con le strategie dell'amministrazione Bush e del servizio di intelligence improntata ad un netto rifiuto di trattare con la guerriglia per tentare la liberazione dei prigionieri.
Pugno duro nei confronti della resistenza. Probabilmente l'intesa tra Cia e Sismi nel teatro operativo irakeno doveva rispettare la linea dura. Calipari è la variabile impazzita, per la Cia, l'uomo che preferendo trattare con la guerriglia aveva fatto saltare il patto tra gentiluomini. Troppo rumore in Italia durante e dopo la conclusione dei rapimenti contrassegnati da movimenti popolari ostili alla guerra voluta dagli USA imbarazzanti per il governo Berlusconi ritenuti eversivi per l'amministrazione Bush. La trattativa andata in porto per ottenere la consegna della giornalista, è la goccia che ha fatto traboccare il vaso dell'indignazione degli americani, soprattutto quando quella " liberazione" seguiva di pochi giorni la clamorosa marcia dei 500 mila di Roma. Calipari sopravanzava per abilità pragmatica i suoi " colleghi" della Cia ma soprattutto il suo agire, muoversi, nel caos della guerra irakena suscitava preoccupazioni, perché misurava troppo la sua libertà d'azione sfuggendo al controllo delle forze militari di occupazione.Appare dunque verosimile la carta giocata dalla Cia di coglier al volo l'occasione per decapitare la nostra rete operativa ricorrendo allo stratagemma dell'errore, del caso normale in un paese in guerra, come si è permesso di affermare un miserabile personaggio americano di nome Edward Luttwac. Un caso anormale e non normale per disfarsi dei nostri 007 e in particolare del capo del settore. L'obiettivo è stato raggiunto. Non solo è stato eliminato Calipari, ma è stata messa fuori gioco l'intera nostra rete operativa in Iraq. Non è pensabile una ricucitura di rapporti con la Cia dopo quanto è accaduto, perché il velo di diffidenza tra i due servizi c'è e non è rimuovibile sic et simliciter.Da notare la fretta con cui il nostro esimio ministro degli esteri si è affrettato ad invitare i cittadini italiani di evitare l'Iraq, come a dire non c'è più Calipari che può salvarvi in caso di rapimento, sempre che si riesca ad evitare il fuoco "amico".
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Svolta kurda. Ocalan: basta con lo stato-nazione. nasce la confederazione democratica
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anubi Monday, Mar. 28, 2005 at 4:23 PM |
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dall'ufficio kurdo in italia (uiki.onlus): importante documento di Apo Ocalan, massimo esponente kurdo prigioniero in Turchia. Spiega e accompagna la proclamazione, durante l'ultimo Newroz, dell'Unione delle Comunità del Kurdistan <Koma Komalen Kurdista>, ma parla di molto altro e a molti altri...
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Dichiarazione di Abdullah Ocalan sulla Confederazione Democratica ALL'UMANITA' DEMOCRATICA E AL NOSTRO POPOLO PATRIOTA
Attraversiamo una fase critica, nella quale può realizzarsi uno sviluppo di dimensioni storiche, ma che è anche gravida di seri pericoli. Il Medio Oriente vive una fase di grande fermento, è come se fosse in corso la Terza Guerra Mondiale; ed il Kurdistan è al centro di questi fermenti e delle contraddizioni che si sono aperte. Nonostante la resistenza del vecchio status quo politico e mentre le forze del capitale globale cercano di uscire
da questo caos conservando e difendendo i loro interessi, i popoli stanno provando a superare il caos e la crisi sviluppando il sistema democratico fondato sulle libertà. È possibile riassumere così questa situazione, in linea generale:
1. l'Umanità è arrivato fino all'inizio del XIX secolo avendo ancora come sua base materiale la rivoluzione agraria che fu realizzata nell'eco-sistema, nella Mezza Luna Fertile, agli albori della civiltà umana. Agli inizi del XIX secolo si è poi realizzata la rivoluzione industriale. Questa seconda rivoluzione ha avuto un importante ruolo nella nascita e nella costruzione dello stato-nazione. Ora, invece, dalla fine del XX secolo, il sistema dello stato-nazione è diventato un ostacolo serio per le libertà, per la democrazia e per lo sviluppo sociale.
2. Il principio del diritto all'autodeterminazione delle nazioni, così come sviluppatosi dall'inizio del XX secolo, e stato interpretato prevalentemente
come diritto alla fondazione di uno Stato. Gli stati nazionali, che a seguito di ciò si sono formati, costituiscono oggi un grave ostacolo allo sviluppo ulteriore dell'umanità. Ed ormai è perdente anche un modello di Nazioni Unite fondato sugli stati-nazione: ne sono prova la guerra di Golfo e la situazione attuale in Iraq.
3. La via d'uscita principale da questa situazione non si trova nella globalizzazione, che si sviluppa nel senso datole dagli stati nazionali, ma è il sistema della Confederazione Democratica, che prende la sua forza dal basso ed ha esclusivamente il popolo come suo punto di riferimento. Così come lo stato nella storia dell'umanità non è eterno, anche lo stato-nazione
non è immortale. Se è vero che già oggi la globalizzazzione sta superando lo
stato-nazione, è vero anche, tuttavia, che in questa fase la crisi del sistema si è approfondita fino a diventare caos, perché l'imperialismo non ha riuscito a costruire un nuovo modello di sistema.
4. Al punto in cui siamo, la Confederazione Democratica è l'unica alternativa. È un modello d'organizzazione di tipo piramidale, dal basso verso l'alto; essa riporta nelle mani delle comunità la parola, la discussione e la decisione. I delegati vengono eletti con elezioni e viene costruita alla testa solo una struttura di coordinamento. I delegati lavorano per un anno come funzionari del popolo.
5. Il sistema della Confederazione Democratica è necessario come modello per
la soluzione dei problemi sociali e storici del Medio Oriente, che hanno raggiunto ormai un peso enorme. Né il sistema capitalista, né la politica delle forze imperialiste svilupperanno la democrazia, possono solo sfruttarla. Nel Sistema della Confederazione Democratica è fondamentale privilegiare la scelta democratica che si sviluppa dal basso. Questo sistema
conserva la diversità delle classi sociali, dei gruppi religiosi e di quelli
etnici.
6. Il diritto all'autodeterminazione per il Kurdistan non mira a far nascere
uno stato nazionalista, ma fonda un movimento che lotta per la democrazia, senza porre problemi di confini politici da trasformare. Si sta costruendo movimento che riguarda entità federali kurde nei singoli paesi di appartenenza, ossia in Iran, in Turchia in Siria e anche in Iraq.
7. Il potere decisionale fondamentale della Confederazione Democratica del Kurdistan è nelle mani dei consigli di villaggio di quartiere, e comunali, e dei delegati che ne fanno parte. Ossia varranno le decisioni volute dal popolo.
La definizione che abbiamo dato delle condizioni del mondo attuale, del Medio Oriente e del Kurdistan ci dimostra che l'organizzazione della Confederazione Democratica in Kurdistan è un impegno urgente, storico e indispensabile che non si può rimandare. Su questa base, nel nuovo giorno del Newroz, lanciare la costruzione della Confederazione Democratica storicamente è un passo avanzato e nuovo, emozionante, liberatorio.
La Confederazione Democratica del Kurdistan non è un sistema statale, ma è il sistema di un popolo che non ha uno stato. È un sistema nel quale ogni componente della società, in primo luogo donne e giovani, creano le loro organizzazioni democratiche e determinano le decisioni politiche in modo diretto, sulla base di una cittadinanza confederativa libera ed equa, secondo un sistema che viene costruito a livello regionale, nei consigli dei cittadini liberi. La Confederazione Democratica, dunque, ha una sua propria forza ed ha le sue proprie competenze. La sua forza è quella che gli
deriva dal popolo e le competenze che vuole acquisire riguardano tutti i settori, inclusa l'economia.
La Confederazione Democratica del Kurdistan prende il suo potere dalla profondità della storia sociale e dalla ricca esperienza culturale della Mesopotamia. Si basa sulla struttura comunale democratica: un modello di società che non vuole riprodurre l'accentramento di poteri conosciuto dalla storia della civiltà fino ad oggi, sia nella cultura statale, che nel sistema dei clan e delle confederazioni tribali. Si basa sulla esperienza d'organizzazione democratica che il PKK ha creato durante una lotta durata più di 30 anni; si
basa sulla vita libera e sulla realtà del patriottismo del popolo, che ha dato migliaia di martiri durante la sua lotta, in primo luogo sulle montagne
e in carcere, ma anche in tutti gli altri luoghi.
La Confederazione Democratica lotta per sensibilizzare gli Stati alla democrazia, spingerli a realizzare riforme radicali; chiede loro di non rappresentare delle barriere alla democratizzazione e di eliminare tutti tipi d'ostacolo, e lotta per questo scopo. D'ora in poi, in Kurdistan, saranno validi tre sistemi giuridici: il Diritto dell'UE, il Diritto di ogni
singolo Stato Unitario e il Diritto della Confederazione Democratica. Se gli
Stati unitari, come Iran, Iraq, Turchia, e Siria, riconosceranno il Diritto della Confederazione Democratica Kurda, allora anche il popolo Kurdo riconoscerà il loro sistema giuridico di Stati Unitari: sulla base di questo
reciproco riconoscimento, potranno essere stipulate delle convenzioni.
La Confederazione Democratica si basa sul riconoscimento e la protezione di tutte le realtà culturali e delle loro libere espressioni. Su questa base, essa riconosce come suo compito principale lo sviluppo della cultura e della
lingua kurda; il riconoscimento della identità kurda a tutti i livelli e la soluzione democratica della Questione Kurda.
La Confederazione Democratica adotta il modello della società ecologica; si basa sul principio del superamento dell'oppressione sociale dei sessi, mediante la lotta per l'emancipazione della donna; essa prevede la costruzione di una democrazia che fondata sull'ecologia e sulla libertà di genere, in tutti i luoghi in cui i Kurdi vivono; e lotta inoltre contro ogni
forma reazionaria e di arretratezza. Essa renderà un tutt'unico lo sviluppo della democrazia sociale e le libertà e i diritti individuali.
La Confederazione Democratica si basa su un ulteriore principio: la soluzione dei problemi sociali attuata senza ricorrere alla violenza. È fondata su una linea politica di pace. Essa tutta via ricorrerà alla posizione dell'autodifesa legittima in caso di attacchi al paese, al popolo,
alla libertà nonché di palesi e gravi violazioni di leggi.
La Confederazione Democratica è un movimento del Popolo Kurdo per la costruzione della sua democrazia e del suo sistema sociale. Essa rappresenta, all'interno, la nazione democratica; invece all'esterno costituisce una struttura sovranazionale. Essa si occupa di questioni politiche, economiche, culturali, religiose e della libertà di genere. È una
organizzazione che unisce le strutture locali e territoriali esistenti di autogoverno della società organizzata. Sulla base di questi principi, faccio
appello, in primo luogo, alle donne e ai giovani, affinché creino la loro organizzazione democratica e rafforzino le loro manifestazioni democratiche e di autogoverno.
La Confederazione Democratica esprime l'unità democratica del popolo kurdo, che è diviso in quattro parti e disperso nel mondo. Essa assume, come principio, l'unità democratica per la soluzione dei problemi interni della nazione kurda; considera la statalizzazione come una conseguenza del nazionalismo e della mentalità rigida e superata di chi propone di creare altri stati-nazione. Poiché tali tendenze nazionalistiche non saranno sufficienti per la soluzione della Questione Kurda ed per lo sviluppo della società kurda, invito queste forze ad essere aperte alla democratizzazione e
a partecipare alla Confederazione sulla base dell'unità nazionale democratica.
La Confederazione Democratica, poiché si basa su una profonda concezione democratica e sulla libertà, non fa distinzione tra i popoli e sostiene l'unione libera ed equa di tutti i popoli; essa sviluppa la nazione democratica invece dello stato di tipo nazionalistico basato su confini rigidi. Essa è a
favore dell'unità delle forze democratiche e di tutti i popoli in Medio Oriente. Essa prevede che le relazioni tra stati vicini si basino su principi di equità e libertà, capaci di dare vita ai diritti politici e socio-culturali. Ancora una volta, invito gli stati vicini ad essere democratici e invito i popoli dell'area a unirsi alla Confederazione Democratica.
La Confederazione Democratica è contro la globalizzazione dell'imperialismo,
ma è a favore di una democrazia globale dei popoli. È il sistema che tutti i
popoli e l'umanità sperimenteranno nel XXI secolo. Ciò significa camminare verso una nuova epoca e procedere verso la Confederazione Democratica. Su questa base chiamo tutta l'umanità democratica a creare un nuovo mondo, retto da un Congresso Democratico Globale.
In base a questi principi, annunciando durante il Newroz 2005 la fondazione dell'Unione delle Comunità del Kurdistan (KOMA KOMALEN KURDISTAN), ossia dell'organizzazione della Confederazione Democratica del popolo kurdo, credo
che abbiamo fatto vincere un sistema ed una filosofia nuova nella vita per il nostro popolo. Sento orgoglio per essere il fondatore di questo evento. Chiamo il nostro popolo ad unirsi, ad organizzarsi e ad autogovernarsi con un proprio sistema democratico, sotto una bandiera verde nel mezzo della quale campeggiano un sole giallo e, all'interno di esso, una stella rossa. Dichiaro che porterò questa bandiera con orgoglio e continuerò a ottenere successi e, così come ho fatto finora, ad adempiere ai miei doveri di Leader. Invio i miei auguri al nostro popolo, ai popoli della regione ed a tutte/i le/gli amiche/i, per un Newroz che è molto più vicino alla liberta delle precedenti primavere. Con affetto e rispetto.
20 Marzo 2005
ABDULLAH ÖCALAN
Fondatore dell'Unione delle Comunità del Kurdistan (KOMA KOMALEN KURDISTAN)
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senior Tuesday, Aug. 09, 2005 at 4:01 PM |
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salve vorrei rispondere al tale che si firma con la sigla M., non alludo al suo vero nome perchè sarebbe come sparare sulla crocerossa, potrei fare 1000 supposizioni...andiamo oltre. Penso che la censura quando si ritenga necessaria sia legittima anche in un sistema democratico come il nostro, la democrazia non comporta la libertà totale di pensiero proveniente da qualsiasi gabinetto o fogna che si voglia altrimenti questa democrazia sarebbe anarchia, parola che mi ribolle nello stomaco. Democrazia significa cercare di "normalizzare" quella percentuale ancora "anormale" che vive nel nostro paese. Il sito in questione è assurdo, anacronistico e si basa su un ideologia non democratica ma assolutistica di stampo sovietico e anarchico insurrezionale . La stessa corrente di pensiero che in nome di chissa quale valore distrugge e demolisce citta e banche ad ogni manifestazione. Mesi fa, lessi articoli contro il Papa che mi offesero molto, articoli figli dell'ignoranza e dell'anormalita, anormalita che dev'essere censurata arrestata e ridimensionata verso canoni piu civili. Articoli che narrano di epiche battaglie legionarie tra inermi e indifesi pacifisti e legioni nere armate di manganelli...oh...forse questi narratori solitari erano in cerca di pubblicita e di soldi. Vagabondi morti di alcolismo e droga mascherati con aggressioni e uccisioni da parte di una mano nera...ma. Penso che la procura sia fin troppo magnanima nei vostri confronti, in fin dei conti il sequestro di hardisk è fin troppo leggero, la liberta di pensiero dev'essere controllata.
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