Ponte Vecchio merce comune: alcune considerazioni dopo la cena della Ferrari

Si sono spese molte parole in merito alla cena della Ferrari su Ponte Vecchio sponsorizzata dal Sindaco. I fatti sono noti, Montezemolo&Co affittano il famoso ponte per una cena, al costo di 120.000 euro (che, peraltro, sembrano non essere mai stati versati).

A mantenere la serenità degli ospiti, una squadra di vigili urbani che bloccano il passaggio ai passanti. Nei giorni seguenti si è sollevato un polverone di retorica indignazione verso il sindaco, accusato di “svendere il patrimonio pubblico” e di “affittare i beni comuni”. Benché il gesto di affittare Ponte Vecchio per una cena e, recentemente, di stilare un tariffario per “la concessione in uso per eventi” di numerosi luoghi storici di Firenze, sia sfacciato, è altresì un atto chiarificatore per chi avesse ancora dei dubbi: tutto è merce.

Una mela, un computer, dei vestiti, la cultura, i luoghi storici di una città sono merce, la nostra stessa esistenza è mercificata. D’altronde è ingenuo pensare che nel mercato globale ci sia qualcosa che non lo è, per di più nella città che ha fatto della rendita fondiaria la sua principale fonte di guadagno. Renzi, anche lui uomo-merce come tutti, è solo un interprete di certi interessi economici: la retorica anti-renziana finisce spesso per “tirare la volata” ai suoi concorrenti, senza individuare con precisione quale deve essere il bersaglio politico di un’analisi coerente.

Il processo di trasformazione del centro storico, da quartiere vissuto, alla sterile immagine da cartolina di adesso, è proprio il frutto di questo ruolo interpretativo, esplicato da questa giunta e da quelle precedenti. Il proliferare di locali e la chiusura di quelli senza copertura politica come la Cité, l’acquisizione di interi pezzi di piazza da parte di un singolo padrone, come Santo Spirito, le campagne anti-degrado per preservare la “bellezza” di tali luoghi acquistati a prezzi di mercato, il mantenere interi appartamenti quasi totalmente sfitti per non intaccare di un decimale il valore degli immboili confinanti: sono queste le dinamiche, legate alla rendita e al profitto, che mutano la città e influenzano la vita di molte famiglie e la vivibilità di piazze o interi quartieri.

 Non c’è dubbio quindi, che tali processi non possano essere totalmente ascrivibili ad una sola persona, in questo caso Renzi, bensì ad un sistema economico e sociale che a Firenze, come in altre città, possiede una sua sfumatura particolare che si concentra sulla rendita perpetua di un bene immobile. Sono quindi i padroni di tali immobili, grandi o piccoli che siano, il bersaglio politico da mettere a fuoco. Il Cibreo in Sant’ambrogio, il Monte dei Paschi e i suoi appartamenti vuoti, la sfilza dei locali, dal Ricchi, al Cabiria fino al T’amero, appartenenti ad un unica persona in Santo Spirito, sono solo esempi di alcuni dei nostri nemici politici. Sono coloro che, seguendo il capitale, piegano la città ai loro interessi, che siano spazzare via i ragazzi da una piazza, chiudere i concorrenti “sleali” che vendono alcol a basso costo o sgomberare uno spazio occupato per metterlo a profitto. Intaccare tali interessi è quanto mai opportuno, a prescindere dalla giunta comunale che siede a Palazzo Vecchio. E non esiste Costituzione a cui appellarsi: quella, semmai, rappresenta l’emblema di quanto abbiamo scritto, la cristallizzazione dello status quo, la volontà della classe dominante che si fa legge.

Iniziamo a chiamare le cose col loro nome: dalla svendita di Ponte Vecchio, agli sfratti per morosità, dalla chiusura di luoghi “alternativi” fino ai decreti razzisti come quello anti-lavavetri. Il filo che lega tutto ciò risiede nelle solite ragioni (o, meglio, imposizioni) economiche, basate sulla legge del profitto; partiamo da qui, da ciò che apparentemente sembra “ovvio” e scopriremo orizzonti più interessanti di una petizione online, del classico momento di indignazione o della personificazione di una questione.

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