Richard Ginori, un bilancio necessario: un contributo dal Coordinamento 20 Maggio

Riceviamo questo interessante contributo di riflessione sulla vertenza Richard Ginori, dal Coordinamento 20 Maggio:

A due mesi dal passaggio di Ginori a Gucci, un testo per continuare la discussione su recente passato e soprattutto sul futuro della vertenza Ginori.

Ginori, un bilancio necessario

Scriviamo questo testo a distanza di due mesi dall’accordo che ha sancito il passaggio di Ginori al gruppo francese Kering (proprietario del marchio Gucci). Due mesi in cui abbiamo preferito evitare di esprimerci pubblicamente su questa vicenda, rispettosi del percorso fin qua intrapreso dai lavoratori Ginori. Lungi da noi, infatti, l’idea di rapportarci ai lavoratori come insegnanti dalla cattedra.

Tuttavia oggi crediamo che inizino a delinearsi gli elementi per un primo bilancio di quanto accaduto. Un bilancio quanto mai necessario, non per guardare al passato, ma per affrontare il futuro: per sgombrare il campo da equivoci che, se mantenuti, potrebbero compromettere la stessa lotta Ginori. Una lotta che riguarda prima di tutto i lavoratori Ginori, ma le cui implicazioni ricadono sui lavoratori della nostra provincia e probabilmente del paese.

Se chiude o licenzia Ginori, infatti. è difficile  pensare di difendere i posti di lavoro in aziende minori o meno sindacalizzate. In secondo luogo, perché sin dall’inizio in Ginori si è giocato uno scontro tra due modelli sindacali: uno concertativo, legato ai poteri forti del territorio, e uno conflittuale e partecipato, legato al protagonismo e alla mobilitazione autonoma dei lavoratori.

Crediamo che l’accordo di maggio abbia segnato una momentanea affermazione del modello concertativo con tutti i rischi che questo comporta. Non è un caso che Gramolati, segretario regionale della Cgil, abbia recentemente citato Ginori come uno dei casi virtuosi “del modello sindacale toscano”. Il modello sindacale a cui Gramolati fa riferimento è di sostanziale complicità tra padronato e vertici sindacali, privo di conflittualità sociale e a perdere per i lavoratori. La tesi avanzata da Gramolati nella stessa intervista è quella che “i rapporti di forza” creati dalla mobilitazione operaia, possano essere sostituiti dalla “forza dei rapporti” tra sindacato e Confindustria. 

Conosciamo le vittorie del “modello toscano”: chi ricorda quando Electrolux-Zanussi fu spacciata come una grande operazione di conversione industriale? Oggi gli ex lavoratori Zanussi sono in mezzo a una strada, dopo essere stati letteralmente raggirati con l’intervento attivo della stessa Regione Toscana.

Nel caso Ginori, l’illusione che i vertici Cgil-Cisl-Uil  stanno spandendo a piene mani è che sia arrivato un “compratore buono”, mosso dalla volontà di rilanciare l’eccellenza del made in Italy e attratto dal paziente lavoro dietro le quinte di vertici sindacali e istituzioni. Non abbiamo ragione di dubitare che tale lavoro dietro le quinte ci sia effettivamente stato. Ciò di cui dubitiamo è che i lavoratori Ginori ne siano i reali beneficiari.

Niente è mai stato ottenuto al di fuori dei rapporti di forza creati dai lavoratori. La vicenda Ginori non fa e non farà eccezione. Partiamo dallo stesso accordo di maggio:

1- era l’unico accordo possibile? Si tratta di conseguenza di una vittoria?

2- ne esce tutelata la continuità produttiva dello stabilimento di Sesto?

Siamo consapevoli di quale fosse il contesto.

Contro i lavoratori Ginori si è scatenato un vero e proprio assedio: prima la vicenda del fallimento, con tutte le sue ambiguità, poi un intero apparato mass-mediatico pronto a salutare Gucci come il salvatore della patria, infine quella pressione – detta e non detta – : se fate scappare Gucci, chiedendo troppo, segnate la fine di Ginori. Il fatto che il contesto fosse difficile, non può impedirci un giudizio franco.

Innanzitutto non può essere definita una vittoria un accordo che dichiara in esubero praticamente 1 lavoratore su 3. Oggi la stampa vanta il fatto che Gucci abbia contribuito a ricollocare 41 dei lavoratori rimasti fuori. A questi lavoratori è stato offerto semplicemente un canale preferenziale verso quel mondo di lavori dequalificati e senza diritti che attendono tutti coloro che perdono un posto di lavoro a tempo indeterminato. Le cooperative e le agenzie interinali sono piene di lavoratori provenienti da aziende fallite, costretti a riciclarsi come addetti pulizie, giardinieri , portieri ecc. Abbiamo addirittura assistito al paradosso di due lavoratori riassunti da Cooplat e impiegati nuovamente in Ginori: più che ricollocazione, questa si chiama esternalizzazione della mano d’opera.

Sorge un’altra domanda: il contesto era certamente difficile, ma poteva essere altrimenti? Era forse possibile che arrivasse un compratore privato che decidesse di riassumere tutti i lavoratori per pura bontà? Non esiste azienda che non approfitti di uno scenario di difficoltà produttiva per perseguire una riduzione dei costi di mano d’opera. La difesa di tutti i posti di lavoro poteva di conseguenza essere imposta solo dalla mobilitazione dei lavoratori stessi.

Sappiamo che quando un’azienda è ferma dal punto di vista produttivo – in questo caso addirittura fallita – colpire la controparte non è facile. Non potendo arrestare la produzione, i lavoratori sono privati dello strumento dello sciopero. Ma proprio per questo la vertenza Ginori poteva e doveva essere concepita sin dall’inizio come una lotta di natura territoriale e generale.

In particolare era necessario impugnare collettivamente la legge 2112 del Codice Civile, che regola la cessione di ramo d’azienda, spiegando come questa fosse la stessa legge aggirata da Marchionne alla Fiat per imporre il proprio modello manageriale. Una campagna sul territorio di questo tipo avrebbe chiarito immediatamente ai lavoratori e alla popolazione quale era la vera posta in gioco, presentando il gruppo Kering-Gucci non come il “padrone buono” ma come un Marchionne qualsiasi pronto a ricattare i lavoratori. Uno smacco di immagine che Gucci avrebbe retto difficilmente, finendo probabilmente per giungere a ben più miti consigli.

Esisteva la possibilità che Gucci si ritirasse dall’acquisto? Sin dall’inizio, il rischio che Ginori rimanesse senza compratore è stato implicito nella situazione. E sin dall’inizio è esistita solo una garanzia contro tale pericolo: il presidio permanente dello stabilimento di Sesto da parte dei lavoratori stessi. Ad una Gucci che minacciava di ritirarsi dall’acquisto, si doveva preparare una risposta: determinerete così l’occupazione dello stabilimento.

Diversi elementi portano del resto a pensare che l’arrivo di Gucci sia stato pilotato e accompagnato dalle istituzioni locali per evitare una ulteriore radicalizzazione della mobilitazione in Ginori e per dare vita ad un’operazione immagine sulla bontà del modello toscano.

E veniamo infine alla seconda domanda, sulla effettiva salvaguardia produttiva di Ginori. Gucci si è presentata in Ginori come un novello Marchionne: ha promesso investimenti in cambio di sacrifici. Ma dopo i sacrifici, gli investimenti potrebbero non arrivare. Nello stesso accordo di maggio, Gucci faceva sapere di considerare 180 lavoratori un numero più consono alle esigenze produttive ma di aver “compiuto uno sforzo” per rioccuparne 230. A fronte di 70 esuberi presenti, è implicita la minaccia di altri 50 potenziali esuberi futuri. A meno che non si voglia credere alla bontà dei padroni, è evidente che se un’azienda dice di aver optato per più riassunzioni di quante non ne avesse bisogno, sta implicitamente ammettendo di essere stata mossa da ragioni di natura politico-sindacale: dal timore che un eccessivo numero di esuberi non sarebbe stato ingoiato dai lavoratori.

Più di un elemento porta a sospettare che l’operazione Gucci sia stata sin dall’inizio mossa da ragioni propagandistiche, più che di reale rilancio produttivo. Il faraonico piano industriale, con una promessa di aumento dei pezzi prodotti attraverso l’introduzione di automazione, si scontra con la natura dello stesso prodotto Ginori e con la mancanza di commesse. Marasco (Cgil) ha lasciato trapelare recentemente dubbi sul piano per la ripresa produttiva del sito. Dubbi puntual]mente smentiti da Marasco stesso come una cattiva interpretazione giornalistica.

C’è poi da fare una operazione verità su quale sia la reale natura del settore moda a cui Gucci appartiene. Questo settore è presentato come un fiore all’occhiello del Made in Italy, trainato da buoni investimenti e eccellenze. La verità è che un settore con alto ricorso a esternalizzazioni e delocalizzazioni. E’ trainato dai bassi salari e dalla propria capacità di scaricare grossa parte della produzione su un indotto fatto da piccole-medie aziende con un bassissimo grado di sindacalizzazione e una conflittualità operaia azzerata.

Esistono a nostro parere due scenari possibili: una mancata ripresa produttiva che farebbe tornare presto Ginori al punto di partenza, svelando la natura dell’arrivo di Gucci. O viceversa una ripresa produttiva secondo il modello “moda”, con un tentativo costante da parte di Gucci di esternalizzare funzioni produttive e di imporre una disciplina priva di ruolo autonomo del sindacato.

.In ogni caso, mai come oggi, credere alla favola del padrone buono rischia di ingannare gli stessi lavoratori Ginori sui compiti futuri.

Discutere di quanto accaduto finora serva appunto a riprendere prima possibile consapevolezza dei tempi che aspettano i lavoratori Ginori e tutti i lavoratori di questo paese. Questo nostro testo non è un giudizio, né un esercizio di analisi. Altro non è che un contributo alla discussione perché chi si trova nella stessa lotta, altro non può fare che discutere insieme di tutte le difficoltà che questa nostra lotta ci consegna ogni giorno.

Uniti siamo tutto, divisi non possiamo nulla. 

Coordinamento 20 Maggio – unirelelotte@gmail.com

Di seguito un video che racconta meglio di molte parole la lotta dei lavoratori Ginori

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