Scuola: tra false promesse e inerzia sindacale è ancora caos

La legge 107 approvata a luglio 2015, la cosiddetta “Buona Scuola”, continua a fare acqua da tutte le parti. Accolta con un diffuso malessere da parte di lavoratori e sindacati, rivela nel primo anno della sua applicazione tutti i suoi limiti.

A due mesi dall’inizio dell’anno scolastico, la legge non ha guarito la supplentite, malattia creata e alimentata ad hoc da tutti i governi per tenere sotto ricatto i precari, evitarne la stabilizzazione e disperdere le loro forze in una guerra tra poveri. Inoltre, ha esaurito solo in parte le assunzioni previste e promesse, assunzioni usate come specchietto per le allodole per imbrigliare la mobilitazione del personale docente ed amministrativo.

La scorsa stagione di protesta si è risolta in un nulla di fatto: i sindacati hanno strappato la promessa delle assunzioni per i precari storici inclusi nelle GAE (graduatorie ad esaurimento) e la promessa di un concorso per la restante parte in possesso dei titoli ma non inseriti nelle GAE a causa del blocco delle immissioni dal 2007. Si parlava di 150mila assunzioni e, sebbene ridotti, i numeri sembravano poter intanto appagare una prima tranche di richieste dal basso.

Soltanto successivamente è emerso che per l’ingresso in ruolo, i docenti avrebbero dovuto “temporaneamente” distaccarsi dalla loro sede: davanti ad una tale prospettiva, che implica non solo la separazione dei nuclei familiari ma soprattutto impegni economici onerosi, molti docenti hanno rinunciato al posto fisso, certi che comunque a breve sarebbe giunta la tanto agognata stabilizzazione. Il risultato è stato che lo svuotamento delle GAE non si è verificato e le graduatorie restano tuttora valide.

D’altra parte neanche il concorso è riuscito a soddisfare quanto promesso. I posti previsti da bando per le assunzioni del triennio 2016-18 non corrispondono alle direttive impartite sottobanco dal MIUR alle commissioni dei docenti valutatori: paventando esuberi, problematica nota al personale in servizio di ruolo, si è imposto un drastico taglio dei candidati. Le procedure del concorsone, per molte discipline, sono ancora in corso eppure è già possibile prevedere che dei 63mila posti previsti almeno un terzo non sarà coperto, vista l’alta percentuali di bocciati.

In cambio di una promessa d’assunzione non mantenuta, quindi, la lotta del personale della scuola è stata ridotta ad una mera testimonianza di dissenso su specifici punti senza mettere in discussione l’impianto generale della legge. Il malcontento si sta diffondendo velocemente ma il punto è quale prospettiva fornire a tale malessere. Troppo spesso la rabbia è scatenata sui social network e vi permane senza alcuna prospettiva. Complici di ciò sono anche i sindacati: tanto i confederali, trincerati in un assurdo silenzio in una fase che richiederebbe proteste di massa, quanto i sindacati di base, che in assenza di un movimento generale fanno bene a convocare degli scioperi ma sbagliano nell’indicare come fase risolutiva dello scontro la data del voto, il 4 dicembre prossimo.

Il referendum non può e non deve essere l’unico strumento di cui si dotano i lavoratori per rispondere agli attacchi, anche perché non è un’arma, può solo essere un’occasione di protesta ma non il fine ultimo: quanto accaduto con l’acqua pubblica chiarisce quali siano i limiti di una battaglia gestita solo sul piano della legalità. Le scorse manifestazioni, quelle del 21 ottobre (convocata da USB- Unicobas ed altre sigle), il 4 novembre (su una piattaforma più ampia) e quella del prossimo 14 novembre, (convocata da Anief), si pongono il giusto obiettivo di mobilitare, ma pagano lo scotto di non porsi il problema di un’organizzazione a lungo termine della lotta.

Oggi più che mai è necessaria una mobilitazione unitaria con una piattaforma chiara, che sia rivolta all’assunzione e stabilizzazione di tutti i precari della scuola (abilitati, precari ammessi con riserva nelle GAE e non solo) che veda tra i promotori tutte le sigle sindacali e, in particolare, i lavoratori. Per andare oltre la propria categoria (la scuola, in questo caso), per rilanciare l’opposizione al Jobs Act, con parole d’ordine unificanti rispetto alle necessità espresse da studenti, disoccupati e pensionati.

La dispersione delle forze a la mancanza di un’organizzazione delle lotte a livello nazionale, gioca a favore solo della controparte, il MIUR, guidato da un Governo che sta applicando i diktat dell’austerità senza trovare nessun ostacolo, nessun fronte dal basso che lo argini e lo pieghi fino a condurlo alle dimissioni.

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