Precarietà. Ecco una applicazione concreta dell’Italian Job (Act) di Renzi

contratti termine1Negli stessi momenti in cui qualcuno in Italia esulta per la promessa di Renzi di far comparire da maggio 80 euro nelle buste paga dei lavoratori (senza accorgersi che questo provvedimento verrà finanziato da privatizzazioni e tagli ai servizi della spending review), il nuovo esecutivo sta varando il cosiddetto Jobs Act, con all’interno le nuove regole sul lavoro a termine.

Per riassumere in breve la natura della riforma, riportiamo direttamente le parole di un giornale vicino al Pd (il Corriere della Sera) riprese da Europa (anch’esso vicino al Pd): «Il decreto legge Poletti inciderà sul mercato del lavoro di più che se fosse stato abolito l’articolo 18. Quella che è stata avviata è una liberalizzazione senza precedenti dei contratti a termine».

Altre interessanti analisi sulla riforma possono essere lette in questo articolo del Manifesto (Precari per decreto e per sempre) e in questo pezzo del Fatto Quotidiano (Jobs act, il premier tradisce subito i giovani e i non garantiti), ma noi vogliamo andare oltre e riprendere questo nostro articolo (Senza lavoro perché “troppo precarie”: l’incredibile storia di alcune lavoratrici livornesi della Coop) dell’estate scorsa nel quale descrivevamo il modo in cui un’azienda aggirava la legge dell’assunzione obbligatoria dopo 36 mesi semplicemente non facendo lavorare più i precari di lungo corso sostituendoli con altri, applicando in questa maniera lo squallido principio del lavoro usa e getta.

Si potrà rispondere che al tempo non erano in vigore le norme renziane, ma in realtà il nuovo meccanismo previsto sul lavoro a termine è più o meno il solito di prima, perché l’assunzione obbligatoria dopo 36 mesi esisteva già, così come (appunto) esistevano già gli espedienti delle aziende per non rimanere imbrigliate nella norma. Renzi, anziché cambiarlo in meglio, quel sistema lo peggiora, togliendo il principio cardine della causalità (ossia l’obbligo per l’impresa di specificare i motivi per cui assume a tempo determinato anziché a tempo indeterminato), nonché alzando l’asticella della percentuale possibile di lavoro a termine in una azienda dal 10-15% al 20%.

Tornando all’articolo linkato sopra sulle lavoratrici della Coop (il cui modo di trattare i precari è stato ripreso anche oggi in questo articolo del Fatto Quotidiano), lo ripresentiamo qui adesso perché racconta un esempio reale e concreto del meccanismo di funzionamento delle dinamiche tra imprese e lavoratori precari all’interno delle aziende con le norme vigenti. Lavoratori che, come nel caso da noi raccontato, non vengono richiamati al lavoro perché le aziende “non vogliono rischiare che si avvicinino troppo ai 36 mesi di lavoro, validi per l’assunzione obbligatoria per legge. È il modo che hanno escogitato per aggirare la legge dell’assunzione obbligatoria dopo 36 mesi: ti sfrutto per qualche anno e poi ti saluto, sostituendoti con altri precari.”

Curioso poi che l’azienda in questione sia la Coop, visto che a provenire proprio dal mondo cooperativo è il neo Ministro del Lavoro Poletti, ideatore insieme a Renzi di quello che più che un Job Act sembra un “Italian Job”, nel quale ad essere oggetto di un furto colossale è il futuro di milioni di giovani italiani destinati ad una precarietà infinita. Chi oggi esulta per la mancia che troverà in busta paga da maggio dovrebbe pensare che quei giovani saranno proprio i nostri figli e nipoti. O magari noi stessi direttamente.

Per Senza Soste, Franco Lucenti

16 marzo 2014

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