La bella mente e la gelida manina: strategie competitive e strategie cooperative
John Nash è divenuto noto al grande pubblico per essere stato impersonato da Russell Crowe nel film “A beautiful mind” che racconta la sua vita e la sua sofferenza psichica; Nash, afflitto per molti anni da schizofrenia paranoide, internato, sottoposto ad elettroshock, è stato a lungo convinto di lavorare per la CIA alla decifrazione di messaggi in codice dei sovietici. Un particolare significativo, questo, che parla di un uomo che pensava di aiutare il proprio paese a combattere i comunisti. Eppure, proprio le sue intuizioni a proposito della Teoria dei giochi (che gli sono valse il Premio Nobel per l’Economia nel 1994) possono essere considerate, da un certo punto di vista, un formidabile argomento a favore del comunismo.
Nel film, mentre è al pub con gli amici, Nash espone la sua idea su quale dovrebbe essere la strategia da adottare per fare la corte alle ragazze
“Adam Smith va rivisto! …Se tutti ci proviamo con la bionda, ci blocchiamo a vicenda. E alla fine… nessuno di noi se la prende. Allora ci proviamo con le sue amiche, e tutte loro ci voltano le spalle, perché a nessuno piace essere un ripiego. Ma se invece nessuno ci prova con la bionda, non ci ostacoliamo a vicenda, e non offendiamo le altre ragazze. È l’unico modo per vincere. …L’unico modo per tutti di scopare! …Adam Smith ha detto che il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé, giusto? Incompleto. Incompleto! Perché il miglior risultato si ottiene… quando ogni componente del gruppo farà ciò che è meglio per sé, e per il gruppo! Dinamiche dominanti, signori. Dinamiche dominanti! Adam Smith… si sbagliava!”
Una teoria che può riassumersi così: se ognuno persegue una strategia individualistica e competitiva (egoistica, nel senso di Adam Smith) il risultato non potrà essere ottimale; al contrario, seguendo una strategia pianificata e coordinata in cui il bene del gruppo diventa dominante si otterrà il miglior risultato anche per i singoli appartenenti al gruppo. Si tratta, appunto, del rovesciamento della logica di Adam Smith.
Una traduzione – un po’ grezza, ma chiaramente intuibile – potrebbe essere questa: una società dominata dalla competizione (come il capitalismo) è meno efficiente di una società dominata dalla cooperazione (come il comunismo).
Adam Smith non era stato semplicemente impreciso o “incompleto”: la sua teoria dell’equilibrio dei mercati – che si realizzerebbe grazie alla “mano invisibile” (della legge della domanda e dell’offerta? Di Dio?) – era, semplicemente, sbagliata.
Questo, nel corso del tempo, è divenuto assolutamente evidente. Kenneth Arrow (altro premio Nobel per l’economia) e Gerard Debreu, che vengono generalmente ascritti al campo neo-liberista, hanno mostrato che solo in certe particolarissime condizioni si può ipotizzare che il mercato possa raggiungere una condizione di equilibrio.
Joseph Stiglitz (ennesimo Premio Nobel per l’economia) ha chiuso il cerchio dimostrando che le condizioni ipotizzate da Arrow e Debrew affinché possa determinarsi la condizione di equilibrio (come ad esempio una perfetta conoscenza del mercato) sono del tutto inverosimili, mentre sono molto verosimili le condizioni che determinano l’impossibilità dell’equilibrio. Ciò nonostante, i risultati di Arrow e Debreu, che mostrano come sussista una possibilità su un miliardo che un certo evento possa accadere, vengono addotti per mostrare che quell’evento non può che accadere!
Il risultato è definitivo: il mercato non si auto-regola. La legge della domanda e dell’offerta, specialmente in un regime di concorrenza limitata da trust e monopoli conduce alla concentrazione del capitale come Karl Marx aveva ben mostrato ai suoi tempi osservando come l’anarchia della produzione capitalistica non solo non conduca il mercato all’equilibrio ma, al contrario, lo conduca piuttosto al disequilibrio, alla crisi; non si realizza dunque l’allocazione efficiente delle risorse e degli impianti, ma la sovrapproduzione e la conseguente distruzione di capitale, il che può essere tradotto anche in questo modo: rispetto all’intera società, il capitalismo produce un risultato non ottimale realizzato attraverso un immenso spreco di risorse umane e naturali.
Nella Teoria dei giochi ci sono due tipi di strategie che possono essere adottate dai giocatori: strategie di tipo cooperativo e strategie di tipo non cooperativo. Per inciso, John Nash ha trovato le condizioni affinché in un “gioco non cooperativo” possa realizzarsi una situazione di equilibrio (quello che è appunto chiamato “equilibrio di Nash”).
“Harsanyi è considerato il principale artefice, intorno alla metà degli anni 70, della rivoluzione “non cooperativa” della teoria dei giochi. E il “dilemma del prigioniero” è forse l’esempio più illustre di gioco non cooperativo. Un gioco non cooperativo è un gioco in cui se c’è un accordo tra due giocatori di adottare una certa coppia di strategie, questo accordo o è un “equilibrio di Nash” (e quindi entrambi i giocatori hanno interesse a onorarlo) oppure qualcuno avrà sicuramente un forte incentivo a violarlo. In altre parole, in un gioco non cooperativo gli accordi non sono efficaci: le regole del gioco da sole non bastano a farli rispettare. Tuttavia se il gioco viene ripetuto un numero indefinito di volte si creano una serie di norme implicite che spingono i giocatori a inventarsi strategie di lungo periodo. Nel caso del dilemma del prigioniero, come ha mostrato Robert Axelrod in un suo libro assai famoso (Giochi di reciprocità, Feltrinelli), attraverso le simulazioni al computer si è notato che la strategia più efficace è quella del Tit for tat, o del colpo su colpo: poiché i giocatori sanno che la cooperazione, alla lunga, è più conveniente per entrambi, tenderanno a non ingannarsi l’un l’altro. Tuttavia è proprio nel momento in cui si instaura un clima di cooperazione che a uno dei due può venire in mente quanto sia conveniente defezionare. Ma a quel punto per l’altro giocatore basterà rispondere con un atteggiamento altrettanto non cooperativo, finché il clima cooperativo non verrà ripristinato” .
tratto da “Strategie per cooperare, anzi per competere” di Armando Massarenti
È interessante sottolineare la frase seguente: “i giocatori sanno che la cooperazione, alla lunga, è più conveniente per entrambi, tenderanno a non ingannarsi l’un l’altro”.
Ma cosa succede se invece non lo sanno, se pensano – in quanto è stato insegnato loro a pensare – che la cooperazione sia un qualcosa da cui liberarsi il prima possibile per realizzare un proprio vantaggio “individuale”? Succede che i giocatori, alla prima occasione che essi percepiscono come favorevole, tenderanno ad ingannarsi e a violare gli accordi, i piani, le regole… E questo spiega perché qualsiasi piano per “risolvere” le crisi economiche e limitare i danni derivanti dagli effetti delle contraddizione sistemiche del modo di produzione capitalistico è destinato, presto o tardi, a fallire: perché, appena il pericolo sembra passato e la situazione sembra essersi stabilizzata, qualche giocatore cede all’impulso di violare gli accordi.
Un esempio da manuale è quello che riguarda gli accordi di Bretton Woods del 1944 e il cosiddetto “Nixon Shock”. Per oltre due decenni la parità aurea che era emersa dopo la Seconda guerra mondiale (proprio a Bretton Woods), come una necessità per evitare la competizione nel “campo occidentale”, era stata il meccanismo di regolazione reciproca delle monete: quando una moneta oscillava, oscillavano coerentemente anche le altre: “tit for tat”, “colpo su colpo”, e l’equilibrio (ovvero la parità) veniva ripristinato. Ma nel 1971 uno dei giocatori – il dollaro – decise di sganciarsi per poter usufruire della propria condizione di signoraggio. Cosi facendo innescò un meccanismo di destabilizzazione globale che ha prodotto centinaia di crisi finanziarie e valutarie piccole e grandi.
Quello che fa la differenza nella Teoria dei giochi è l’assunzione fondamentale dei giocatori: se sono consapevoli che la cooperazione è più efficace, coopereranno e correggeranno automaticamente i piccoli scostamenti da questa condizione di equilibrio cooperativo. Se invece sono convinti che la cooperazione non funzioni allora coopereranno solo per il tempo strettamente necessario a superare i momenti di crisi e, non appena potranno, torneranno a competere gli uni contro gli altri.
Il primo è uno schema che tende virtualmente al comunismo (la cooperazione, diciamo così, come “dinamica dominante” e permanente); il secondo schema conduce invece al cosiddetto neo-liberismo cioè ad una forma di liberismo che si realizza sotto l’egida dello Stato, una “regolazione cooperativa” da far valere solo quando il mercato va “fuori giri”. Per inciso, la fase delle cosiddette “de-regulations” reaganiane e thatcheriane non ha prodotto, come spesso si tende a dire, una fase neo-liberista (nel senso di dottrina di economia politica), ma piuttosto una nuova fase di liberismo classico (almeno in parte). Il neo-liberismo non è una nuova fase del vecchio liberismo, ma un sistema politico-economico che sviluppa e modifica il liberismo classico (quello “a la Smith”, per intenderci).
Infatti
““…La fine del secondo conflitto mondiale ha visto il rinascere dell’idea liberista, sia pure su basi nuove rispetto a quella di matrice classica; il neo-liberismo non sostiene più, infatti, che le spese statali debbano essere limitate ai soli settori della difesa, della giustizia e dell’ordine pubblico ma, in contrapposizione dialettica con i fautori del Welfare State, ritiene che lo Stato debba intervenire solo nei casi di evidente fallimento del mercato. È, soprattutto, sul piano dei rapporti commerciali internazionali che il neoliberismo si è imposto con maggior forza: organismi internazionali quali il GATT o il FMI, infatti, hanno favorito la stipula di accordi multilaterali di libero scambio e l’abbattimento dei dazi doganali.”
Cosa leggiamo? Leggiamo che, secondo i neo liberisti, quando il mercato fallisce lo Stato deve intervenire. Proprio come è successo nel 2007-2008 con il crack di Wall Street: il mercato (finanziario) è fallito, lo Stato è intervenuto: schema neo-liberista.”
Naturalmente l’auto-rappresentazione ideologica neo-liberista è quella che lo Stato interviene solo quando è strettamente necessario lasciando normalmente campo libero al mercato. Ma, come ha mostrato Karl Polany, il mercato auto-regolato non è nato spontaneamente, ma è una vera e propria costruzione dello Stato. E i sistematici interventi militari in giro per il mondo con la scusa della democrazia non sono altro che interventi dello Stato in economia.
C’è un’altra considerazione importante da fare: un giocatore razionale decide sempre di adottare una strategia dominante (nel senso in cui questo concetto si usa nella Teoria dei giochi). Nel nostro caso la razionalità sta nella cooperazione e l’irrazionalità sta nella competizione orientata al tutto e subito per me. Del resto, che la competizione globale, la guerra permanente di tutti contro tutti, fosse una condizione non auspicabile lo aveva già intuito Thomas Hobbes che su questa indesiderabilità aveva poggiato la sua – peraltro sbagliata – teoria della nascita dello Stato.
In realtà l’uomo compie la scelta cooperativa già agli esordi della civiltà, in epoca arcaica. Marx, con una frase straordinariamente efficace, scrive a Vera Zasulic:
“…nelle comuni più arcaiche la produzione si fa in comune e se ne ripartisce solo il prodotto. Questo tipo primitivo delle produzione collettiva o cooperativa fu, beninteso, il risultato della debolezza dell’individuo isolato, e non della socializzazione dei mezzi di produzione.”
E nell’Ideologia tedesca Marx ed Engels mostrano come cooperazione e divisione del lavoro stiano alla base dello sviluppo delle forze produttive della “comunità” e della capacità di affrontare le avversità della natura (che non è dunque sempre così benigna come affermerà Jean-Jacques Rousseau).
Ma i giocatori sono sempre e solo razionali? La risposta, evidentemente, è no anche perché, se lo fossero, certamente compirebbero scelte radicalmente diverse da quelle che compiono.
A questo punto la questione si sposta su un altro terreno ovvero sul terreno dell’attitudine umana alla competizione o alla cooperazione. Gli uomini sono animali essenzialmente sociali – come avrebbero detto Aristotele, Rousseau o Marx – oppure sono “lupi” per gli altri uomini come avrebbe detto Hobbes? Oppure possono essere, in contesti diversi, l’uno o l’altro? La risposta ad un altra occasione.
tratto da: http://www.antiper.org/