L’annosa questione dei minimarket a Firenze

Di recente, dopo la bocciatura da parte del Tar dell’ordinanza del sindaco Nardella (che vietava la vendita di alcolici dalle 22 alle 6 nei minimarket) si è tornati a parlare dell’annosa questione dei minimarket in centro, una variante della famosa “lotta al degrado”, concetto che abbiamo snocciolato più volte e che in pratica si può tradurre così: “la retorica del bello ci serve come scusa per difendere la rendita immobiliare dei soliti noti, oltre a piccoli e grandi profitti, dei più e meno noti, quindi basta co i’ degrado, sennò gli affari vanno male”.

Nonostante sia subentrato all’attuale premier, quindi non possa godere della stessa considerazione, il buon Nardella provò tempo addietro a lanciare il suo messaggio internazionalista (sic!) per una crociata contro il degrado, caduto però nel dimenticatoio.

A settembre era tornato alla carica, dichiarando quanto segue:

“alcuni minimarket talora cadono nello sfruttamento, con persone impiegate h24 per fare attività che, come testimoniato dalle forze dell’ordine, sono illegali”. Secondo le nuove norme, ha anticipato, per aprire un minimarket, servirà il rispetto di un “elenco di requisiti, come già oggi avviene per Ponte Vecchio e via Tornabuoni.”

Ora, non ci vuole molto per comprendere che i principali responsabili del problema in questione sono le istituzioni TUTTE e le amministrazioni precedenti.

Qualche domanda: i minimarket sono forse spuntati così, dal nulla, senza un’autorizzazione del Comune ad aprire? E tutti i locali del centro cittadino, specie quelli dei padroni “amici”, li hanno aperti a fine estate? Perchè le persone bevono e assumono sostanze a questi livelli, anche nella “città del bello”? Ultima, ma non per importanza: Nardella è forse diventato un paladino dei proletari sfruttati sul lavoro, o parla a nome dei commercianti e dei locali che subiscono la concorrenza? Proviamo un po’ a rispondere.

E’ ovvio che con 12 milioni di turisti che ogni anno affluiscono in città, qualcuno ci guadagni. Ed è possibile solo se si riesce a vincere la concorrenza facendoli sbronzare nel proprio locale rispetto a quello degli altri, dormire nel proprio hotel o bed and breakfast e così via. I minimarket, fino a che non è arrivata la “crisi”, non erano un problema, ma lo erano i mendicanti, per cui la città “rossa” fu una delle prime ad approvare la famosa ordinanza contro i lavavetri (della serie, prima ci occupiamo di chi chiede un euro, poi di chi fa profitto “illegalmente”, ma solo di alcuni). Oggi invece la “crisi” c’è eccome, i locali chiudono, le discoteche prendono magicamente fuoco e, dopo che il Governo Monti, la Regione Toscana e il Consiglio Comunale ratificarono qualche anno fa la liberalizzazione degli orari nel settore del commercio, i minimarket iniziarono a pullulare e a rappresentare un problema in termini di concorrenza ai locali storici (analogo problema riguarda anche il lavoro domenicale nella grande distribuzione, vedi I Gigli, ma non divaghiamo).

La clientela non è certo la stessa, infatti chi va nei minimarket lo fa per spender di meno e non pagare 6 euro un bicchiere di amaro come alle Murate, e magari dopo aver preso la propria bevuta si reca in una piazza (altro atto osceno, comprendiamo) sedendosi fuori, non pagando così il “coperto” ai soliti locali. Clientele diverse per posti diversi, i quali hanno due gestioni differenti ma analoghe: se lo sfruttamento infatti è la norma nel settore, nei minimarket spesso la gestione è familiare (con famiglie tendenzialmente più numerose) e ciò consente di poter restare aperti per più tempo con maggior flessibilità, grazie alle stesse leggi volute e votate dal Pd. Un ignobile affronto per le storiche “gestioni familiari fiorentine”, non abituate a certi ritmi o, semplicemente, illuse che la concorrenza non sarebbe arrivata. I minimarket vendono merce come i locali storici, ma ad un prezzo più basso, con meno costi (niente coperto e salari ancor più bassi), in genere di bassa qualità (ma una bottiglia di amaro alla Coop costa 9 euro, e gli alti prezzi dei locali non sono tali perchè i lavoratori sono super pagati) e soprattutto coprono un arco temporale maggiore, compensando la minor concentrazione di clientela. Il prolungamento del tempo di lavoro nella micro-impresa minimarket compete con l’intensità di lavoro, in minor tempo, dei locali. Questa è la radice delle chiacchiere di Nardella sui “requisiti”, monito del portavoce istituzionale di determinati interessi consolidati (nemmeno tra i maggiori, ma pur sempre influenti).

Per concludere, visto che sappiamo di non vivere nel migliore dei mondi ma in una società incentrata sul profitto, l’alienazione che questo ci provoca determina l’abuso di alcolici e sostanze, specie tra i più giovani (visto che in famiglia e a scuola certe discussioni restano ancora oggi tabù). Pensare che la questione sia morale e non sociale, quindi politica, denota l’assoluta malafede delle parole del sindaco, il quale non ha interesse (come il suo padrino Renzi) a difendere i ragazzi dallo sballo facile e nemmeno i lavoratori (dei minimarket come dei locali e in generale) dallo sfruttamento.

Sta solo portando avanti, biecamente, gli interessi dei commercianti che cominciano a sentire la crisi e, incattiviti, ricercano l’ennesimo spauracchio. Oggi la questione la pongono in termini “morali”, ieri etnici, domani chissà. Per il futuro teniamolo a mente, così quando verrà venduta l’ennesima scusa, sapremo riconoscerla come tale e, forse, trovare la radice del problema puntando il dito contro i reali interessi rappresentati dalle istituzioni. Per farlo ed ottenere dei risultati, tocca organizzarsi in maniera capillare, cosa aspettiamo?

D. Saronno

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