Orizzontale, virale, falso e strumentale. Sulla poliziotta che stringe la mano all’operaio

Sulla lotta dei lavoratori Ilva a Genova, consigliamo la visione di questo reportage di Gazebo

1. Il caso Ilva, di cui si dovrebbe parlare per gli oltre 5 anni di accordi traditi, per la sacrosanta rabbia dei lavoratori di Genova, per l’ambigua posizione della Fiom che cavalca Genova ma non estende la mobilitazione altrove, per la correttezza del metodo di lotta dell’occupazione dello stabilimento alternato allo sciopero cittadino, passa alle cronache lo scorso 27 gennaio per il gesto di “una poliziotta che si toglie il casco e va a dare la mano all’operaio”. Il gesto viene tirato da tutte le parti: i media lo incensano, il Movimento 5 Stelle ne fa il simbolo della rivolta “della gente” che si unisce, qualche corrente femminista del ruolo pacificatore del genere femminile e qualche incauto compagno condivide sulla propria bacheca entusiasta.

2. Lo zelo con cui i media hanno dato risalto a questo episodio risponde all’esigenza di dare l’idea di “una pacificazione” e di un nuovo equilibrio raggiunto tra le forze in campo a seguito dell’approvazione del Senato del decreto salva-Ilva. Quando in verità le tre giornate di Genova dimostrano l’esigenza di non fidarsi di nessun piano salva-Ilva, di prepararsi a continuare e a estendere la mobilitazione. Ma lasciamo da parte il caso Ilva per focalizzarsi sul meccanismo mediatico in sé.

3. Non è nostra intenzione negare che un avanzamento della lotta di classe possa produrre significative spaccature o comunque tentennamenti in settori delle forze dell’ordine. Senza tale tipo di meccanismo nessuna rivoluzione sarebbe possibile. Il senso della misura ci porta però a dire che non è quanto successo a Genova.

4. Quanto succede a Genova è l’esatto contrario. Innanzitutto è l’operaio a spingersi a dare la mano alla poliziotta. Stile tipico della nostra classe, la quale non ha mai avuto il difetto di essere incline alla violenza se non come necessità difensiva. Ed è sempre pronta a cercare pure nell’avversario il padre o la madre di famiglia, il proletario in divisa.

5. Nel caso specifico la poliziotta non è una agente di base ma il vicequestore. Troppo in alto per uscire dai canoni e soprattutto troppo in alto per poter dare un’intervista alla Repubblica senza una diretta autorizzazione dei suoi superiori. I quali ovviamente autorizzano. L’intervista a Repubblica spiega tutto: la vicequestora non si toglie il casco per mettere fine agli scontri ma a scontri finiti, quando i “colleghi” hanno già provveduto a togliersi caschi e maschere anti-gas. L’intervistatore di Repubblica non trasale all’idea che un corteo operaio sia stato affrontato con gas lacrimogeni e maschere anti-gas ma anzi continua imperterrito la propria intervista cercando di accreditare l’idea che la vicequestora sia stata mossa dalla compassione verso “lavoratori come lei”.

6. Di episodi nel mondo ne succedono tanti. I media ufficiali, chiamiamoli pure del grande capitale per favore, amplificano o danno risalto a questo o quell’episodio a seconda della vulgata che vogliono accreditare. Così scoprono i bambini che affogano quando la Merkel deve fare un’apertura ai flussi migratori e scoprono i falsi stupri di massa da parte dei rifugiati a Colonia quando Schengen torna in bilico. Ma i bambini affogati continuano a morire e degli stupri silenziosi nelle migliaia di famiglie italiane, tu ne sai oggi meno di ieri.

7. Non immaginatevi un gran consiglio della cospirazione che decide ogni giorno a quali notizie dare risalto o meno. Il meccanismo è molto più automatico e oliato di quanto si creda. Giornalisti imbevuti dall’attuale cultura, supportati da alcune agenzie di informazione centralizzate, finiscono per convenienza, ignoranza o formazione acquisita per rincorrere le stesse notizie e gonfiarle come un gruppo di lupi segue istintivamente una preda.

8. In tutto questo ci preme sottolineare come l’idea che i social networks e internet siano degli antidoti alla falsa propaganda dominante è gravemente scorretta. I social network, Facebook in primis, si accomodano al grande tavolo della menzogna avendo tra l’altro dalla loro parte il patentino di “mezzi liberi e orizzontali” con cui spesso sdoganano più e meglio di altri le falsità.

9. Questa idea alimentata da movimenti come quello a 5 Stelle e di cui sono stati spesso preda i fautori dell’organizzazione a rete, per cui internet e social networks siano sinomini di “volontà popolare e orizzontalità” è sbagliata per mille motivi. Basterebbe pensare che Zuckerberg è uno dei 62 ultramiliardari che costituiscono l’1% della popolazione più ricca al mondo. Basterebbe dire che la differenza di tempo a disposizione che costituisce una delle grandi discriminazioni di una società divisa in classi non viene eliminato dalla rete: al contrario il digital divide e il presenzialismo richiesto per stare sempre su internet taglia spesso fuori le fasce della popolazione operaie. O ancora: il sensazionalismo che è tipico di qualsiasi giornale borghese – si pensi ai tabloid – raggiunge il proprio culmine su internet dove una bufala “popolare” permette di arricchirsi con i click ricevuti.

10. Con tutto questo non vogliamo aderire all’anacronistico partito di coloro che rifiutano tecnologia e uso di internet, ma rimarcare solo questo fatto: l’ideologia presente nella società è l’ideologia dominante. E non esiste nessun mezzo di comunicazione che non la veicoli. Più pervasivo e orizzontale è il mezzo di comunicazione più questa ideologia sembra emergere dal basso quando invece discende direttamente dalla classe dominante. Non esiste nessun potere taumaturgico di internet come non esisteva nessun potere taumaturgico del ciclostile con cui si stampavano i volantini. E’ un mezzo in più che abbiamo per veicolare i nostri contenuti. Al momento opportuno la lotta di classe saprà riappropriarsi di ogni mezzo, dal volantino ai nuovi media, per veicolare il proprio messaggio. E state sicuri: nessun poliziotto che si toglie il casco e si rifiuta di caricarci sarà mai intervistato da Repubblica. Magari ne darà notizia la tv in streaming del consiglio di fabbrica dell’Ilva. La rivoluzione sarà l’unica a teletrasmettere sé stessa.

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