Il nazionalismo è un vicolo cieco, in tutto il mondo

Le correnti politiche più nazionaliste e reazionarie continuano a riscuotere successo in vari paesi europei, oltre che in America.

L’ultimo caso riguarda le elezioni presidenziali in Austria, dove il candidato del “Partito della Libertà”, Norbert Hoffer, con il 36,4 per cento, è stato il più votato, e dove i candidati dei partiti tradizionali, socialdemocratici e democristiani, vengono per la prima volta dal 1945, esclusi dal ballottaggio.

Come hanno sottolineato molti commentatori, tanto la crisi economica, quanto la paura dell’immigrazione, ingigantita dai mezzi di comunicazione di massa, hanno contribuito a questo risultato. Ma se le porte del consenso popolare si sono aperte così facilmente, in molti paesi europei, a personaggi e partiti che sembrano usciti dalle cronache politiche più buie degli anni ’30 del secolo scorso, è anche perché nessun’altra forza ha saputo radicarsi negli strati popolari e soprattutto fra i lavoratori.

Non ci si può opporre ai movimenti di destra con le tavole rotonde degli intellettuali o con i movimenti di opinione.

Ci vogliono partiti ben organizzati e radicati, con una visione chiara e definita dei rapporti sociali, partiti che mettano gli interessi della classe lavoratrice al centro della propria azione, che sappiano costruire nei fatti l’unità dei lavoratori immigrati con quelli locali, partiti, in tre parole, operai, comunisti e rivoluzionari.

In nessun paese europeo ne esistono, è vero, o almeno non ne esistono di sufficientemente sviluppati, ma questo non toglie che bisogna impegnarsi per costruirli. Il nazionalismo è un vicolo cieco.

I leader nazionalisti del passato, quando hanno avuto successo come capi di governo e fondatori di regimi, sono stati i servi sciocchi dei grandi gruppi industriali e finanziari che poi li hanno scaricati. Sono stati utili per scatenare guerre e per reprimere ogni tentativo di resistenza da parte dei lavoratori. Ecco perché il movimento operaio è sempre stato un nemico irriducibile dei nazionalismi.

Le masse di migranti che fuggono carestie, guerre e regimi sanguinari incutono timore? Ma tutta questa gente, tutte queste donne, questi bimbi, questi uomini, sarebbero rimasti volentieri a casa propria se una rete internazionale di rapporti economici che li strangola non li avesse costretti a partire, oppure se le bombe e i razzi di fabbricazione americana, francese o italiana non li avessero sterminato i familiari e non li avessero distrutto la casa, o, ancora, se dittatori o milizie, appoggiati da questa o quella grande potenza non li avessero oppressi, imprigionati, violentati, rapinati, torturati.

Che cos’è la politica estera delle maggiori potenze, quella che oggi dice di mettere al primo posto la “lotta al terrorismo”? Appoggiare dittatori corrotti, oppressori e violentatori dei propri popoli quando fa comodo, appoggiare questa o quella fazione ribelle a questi stessi dittatori quando il loro potere è diventato insostenibile, ridefinire le sfere di influenza secondo quelli che si reputano i propri mezzi di dissuasione e di pressione economica, politica e militare.

La Libia ad esempio, ha visto l’intervento contro la dittatura di Gheddafi e, successivamente, una guerra di tutti contro tutti per spartirsene il territorio. Con Francia e Italia che si fanno la guerra appoggiando l’una il generale di Tobruk, Haftar e l’altra il “governo di unità nazionale” di Tripoli, capeggiato daFayez Al Sarraj.

Tutto questo avviene in uno scacchiere che è fatto di villaggi, città, campagne, i cui abitanti vengono bombardati, privati dei mezzi di sussistenza, abbandonati alle malattie.

E tutto questo si fa per decidere quale compagnia petrolifera sfrutterà il maggior numero di giacimenti di petrolio o di gas, garantendosi il massimo di ordine e di stabilità possibile attorno alla propria attività, quale grande impresa e di quale paese si assicurerà i contratti più vantaggiosi per la “ricostruzione”, quale paese “civile e democratico” si assicurerà la più ampia zona di importanza strategica per il capitalismo di casa propria.

“Al primo posto l’Austria!”dice Hofer, “Al primo posto la Francia!”, gli fa eco la Le Pen, “Prima l’Italia!” dice Salvini.

Ma è tutta una truffa: al primo posto ci sono i profitti dei grandi gruppi che hanno sempre utilizzato il nazionalismo e le correnti xenofobe quando ha loro fatto comodo. Ma se al primo posto c’è il profitto, la vita umana viene all’ultimo. Lo attestano non solo le centinaia di morti che ogni anno fanno del Mediterraneo un cimitero, non solo le migliaia di persone che si assiepano sul confine greco-macedone, ma anche i milioni di disoccupati europei.

Già oggi migliaia di giovani italiani cercano fortuna all’estero, facendo i conti spesso con il razzismo diffuso nei paesi che li ospitano perché “rubano il lavoro” ai giovani locali. Domani, il rafforzamento delle correnti nazionaliste potrebbe condurre di nuovo a guerre e dittature nel cuore della civile Europa, e a fuggire, per cercare rifugio da bombe e persecuzioni potrebbe toccare proprio ai popoli di qualche paese europeo. E l’Italia non sarebbe certamente l’ultima della lista.

Fare discorsi razzisti e nazionalisti oggi è un metodo facile per acquisire consensi. Ma è anche come una sbornia, che lascia la testa dolorante e l’alito cattivo al momento del risveglio, con la sgradevole sensazione di aver sprecato tempo, senza combinare niente di buono.

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