7 minuti: quando le risorse umane ti dicono che ‘basta un Sì’

Immaginate di essere state elette, insieme ad altre 10 colleghe, nel Consiglio di fabbrica di un’azienda tessile di 300 operaie. La produzione arranca sempre di più, il lavoro sgocciola, i problemi che questa società scarica sulla famiglia cominciano a martellare la testa.

Negli armadietti delle colleghe ci sono gli ansiolitici. Mentre la vita scorre contando le monete per le spese di tutti i giorni, le aziende intorno a te non ci sono più. I volti dei loro operai e delle loro operaie li ritrovi tutti al patronato la mattina. Se la paura ha un volto, è questo.

La proprietà tutta nazionale di questa azienda, situata nel deserto industriale del Lazio, gestisce la fabbrica col paternalismo tipico di chi ha rilevato l’impresa dai genitori e ad un certo punto vuole vendere per liberarsi dei debiti. Qualcuno di loro è più attratto dalle dipendenti che dal destino della fabbrica. Le guarda arrivare al presidio davanti ai cancelli e sente dentro il potere tutto maschile di chi si sente impunito ed impunibile.

Immaginate ora che la proprietà trovi un acquirente: una gigantesca ed efficiente multinazionale francese. Si presentano in azienda con un piano efficiente ma dal volto umano. Nessuna ristrutturazione, acquisizione del marchio e rilancio della produzione, ammodernamento dello stabilimento, allineamento con la produzione europea, mantenimento di tutta la forza lavoro. Un piano di cui si richiede il voto al Consiglio di fabbrica e poi uscire davanti al presidio a comunicare l’happy ending.

Immaginate quindi 11 operaie, italiane e non, a doversi confrontare con questa proposta. L’azienda subentrante conferma tutta la forza lavoro e non cambia né salario né contratto. In cambio, chiede solo una riduzione da 15 a 8 minuti per la pausa pranzo: 7 minuti di produzione in più.

Guardatevi attorno. Chi avrebbe il coraggio di dire No? Con la disoccupazione che c’è in giro, le fabbriche che chiudono, i figli da mantenere… Cosa sono 7 minuti?! Nel sorriso di questa offerta, basta un sì.

Il nuovo film di Michele Placido, 7 minuti, gira tutto attorno a questa riflessione: cosa sono 7 minuti di produzione in più? Cosa si cela dietro la generosità di un’azienda? Non è che è solo un modo per vedere cosa siete disposti a cedere pur di lavorare? Non è che è solo un modo per vedere quanto è facile mettere queste lavoratrici l’una contro l’altra?

In questo, il film 7 minuti riesce nell’obiettivo: è come uno spettacolo teatrale costruito in una stanza ed in effetti da uno spettacolo teatrale deriva. Le divisioni etniche, il ruolo della paura e del ricatto emergono in superficie con una violenza molto chiara. Sotto questo aspetto, il film dovrebbe essere proiettato da ogni RSU nelle fabbriche e negli uffici.

Chi ha il coraggio di dire No? Nel film emerge questa dura realtà: le vertenze sindacali perdono e noi abbiamo figli. Con questo sacrificio, tutto sommato ridicolo, possiamo andare avanti. Le lavoratrici straniere, scappate da miseria e guerra, lo dicono chiaramente: “io potrei mangiare e lavorare insieme, perché la pausa pranzo è un lusso che al mio paese non c’era nemmeno”. E’ la fase, c’è’ da passare la nottata… ma quanto dura questa nottata? In effetti vogliono tutte votare, in fretta.

Eppure, ricorda un’operaia più anziana, la portavoce del Consiglio di fabbrica, 34 anni fa la pausa pranzo era di 45 minuti. Ora si propone di ridurla a 8. E 7 minuti di produzione in più per 5 giorni per 300 operaie fanno… tanti soldi.

C’è un punto critico del film e va sottolineato in questa breve recensione militante. Il suo punto di forza si trasforma dialetticamente nella sua debolezza: tutto il film si sviluppa nel Consiglio di fabbrica, attorno a un tavolo. Il presidio, fuori, è solo uno sfondo. Tutte le contraddizioni si scaricano sui nervi di 11 operaie, mossa utile per rendere il ricatto sfalsato rispetto alla realtà.

Perché il punto è proprio questo: il vero No pesa solo sulle spalle delle rappresentanti del Consiglio di fabbrica o di tutte le operaie? Perché il Consiglio di fabbrica non può uscire e fare un’assemblea al presidio in lotta, lasciando che siano i lavoratori a discutere democraticamente?

Questo film ci consegna una dimostrazione di coraggio operaio che, Placido dirà alla fine, attinge da una lotta reale, avvenuta in Francia nel 2012. Un film che consigliamo di vedere perché, pur con tutti i limiti cinematografici che può avere, parla direttamente ai lavoratori come noi, con un linguaggio e delle scene semplici, immediate, che nella realtà non possono rimanere confinate dentro una stanza.

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