Liberarsi della “movida”, o guadagnare tempo di vita?
La risposta di Miguel Martinez al nostro articolo ci offre l’occasione per poter approfondire meglio la questione della vita notturna (o “movida”, come insensatamente la chiamano i giornali) per poi virare su altre considerazioni. Innanzitutto c’è da sgomberare il campo da un possibile equivoco: il fatto che si siano più volte denunciate le assurdità scritte da media cittadini, Nazione in primis, sull’argomento, non ci rende automaticamente avvocati difensori del “popolo della notte” o dei gestori dei locali.
Il “problema movida” viene sempre posto secondo un’ottica particolare, la quale non è altro che specchio dell’ideologia dominante liberaldemocratica. Sembrerà esagerato, ma non secondo noi.
Il mainstream cittadino presenta la situazione in questi termini: si hanno tre parti in causa, divise in due blocchi; da un lato i residenti, gente normale che deve svegliarsi la mattina presto per guadagnarsi da vivere e che ha il “diritto” ad addormentarsi alle 11 di sera senza venir disturbato dagli schiamazzi di ubriachi molesti, dall’altra i giovani i quali, a loro volta, hanno il “diritto” di divertirsi, di farsi le proprie esperienze, di esagerare, di vivere la notte. Assieme a questi troviamo i gestori dei locali notturni i quali anch’essi reclamano il “diritto” di svolgere il proprio lavoro in tranquillità e sicurezza, senza che la polizia municipale, un giorno sì e l’altro forse, metta i sigilli alla loro attività o gli commini multe salatissime.
Ci troviamo così di fronte ad una situazione di stallo perfetto, in cui tutti hanno argomenti solidissimi dalla loro e risulta impossibile stabilire chi ha ragione. Di fronte ad una tale impasse si invoca l’intervento di una parte terza, neutrale, che mediando tra i vari interessi faccia giungere i soggetti in causa ad un compromesso accettabile per ognuno: lo Stato (nella sua diramazione locale, cioè il Comune di Firenze) nelle vesti di giudice equo e saggio, accontentando un po’ gli uni e un po’ gli altri, risolverà, col buonsenso che gli è proprio, i conflitti della città, incoraggiando i cittadini al reciproco rispetto.
Questo quadro, alla cui visione il bombardamento mediatico cerca di inchiodarci, è completamente distorto per tutta una serie di motivi.
Innanzitutto lo Stato, ben lungi dall’essere un giudice imparziale, si presenta in realtà come ulteriore parte in causa e attiva nel conflitto in atto: “comitato d’affari della borghesia” recitava una formula propagandistica vecchia di 150 anni, che tuttavia si avvicina molto di più alla situazione reale rispetto all’idilliaca pretesa di neutralità.
Firenze, come abbiamo detto più volte, è la città della rendita: il patrimonio artistico, quello immobiliare e l’altissimo risparmio privato gli consentono di mantenere il suo status di “città ricca”, nonostante l’assenza pressoché totale di grandi attività produttive (e le poche rimaste sono in crisi, vedi la Richard-Ginori, la GKN o la Seves). Gli introiti del turismo sono per l’amministrazione comunale VITALI e tra questi rientrano anche quelli legati al consumo legato al divertimento notturno. Per questo motivo non è pensabile neanche una “delocalizzazione” dei locali, essendo i turisti i migliori clienti dei pub di Firenze, sarebbe per loro un grande disincentivo dover raggiungere zone periferiche (che se meno densamente popolate risolverebbero il problema del “diritto” al riposo) per una serata di divertimento alcolico. Così via de’ Benci rimarrà piena di giovani turisti alticci e sbraitanti e di autoctoni in disperata ricerca di una texana desiderosa di un’avventura esotica. Continuerà ad esserci gente, confusione e “degrado”….
Già, il “degrado”… un mantra che va avanti da lameno una decina d’anni: c’è “degrado” di qua, c’è “degrado” di là, a Parigi il “degrado” non c’è e invece a Firenze sì ecc.
Non credendo che i redattori di Repubblica e La Nazione si siano svegliati un giorno scoprendosi di colpo raffinati esteti, pensiamo che le cause di questa portentosa crociata contro “il brutto” siano da ricercare ancora una volta in interessi specifici che muovono (o tengono a galla?) l’economia cittadina.
Firenze negli ultimi 20 anni è stata protagonista di un fortissimo processo di gentrification. I quartieri centrali (pensiamo alla zona di Sant’ambrogio o a quella di San Frediano) hanno mutato segno a causa dell’innalzamento vertiginoso dei prezzi degli immobili, comportando l’espulsione dal centro storico delle fasce sociali più basse e l’ingresso di quote rilevanti della cosiddetta middle class. Mentre le zone di più recente insediamento, come Novoli, sono già state predisposte per essere dei luoghi che le persone non sentono come “propri”: quasi nessuna piazza, molte vie di solo transito, tanti centri commerciali. E in ponte c’è già il nuovo stadio…. Ciò (oltre ad annichilire “l’anima” dei quartieri e creare le condizioni per una diffusa atomizzazione sociale) ha creato un’immensa fonte di rendita per chi questi immobili li possiede. Naturalmente chi affitta un appartamento a prezzi stellari a turisti o studenti fuori-sede vuole mantenere pulito il proprio “uscio”. Fiumane di ubriachi molesti che vociano per strada e pisciano sul marciapiede non sono ben gradite, anche e soprattutto perché tutto questo “degrado” finirebbe inevitabilmente per svalutare l’immobile.
Che fare quindi? Se la soluzione non è dietro l’angolo non è il caso di abbattersi, magari è l’occasione per cambiare visuale… Se non sarà un decreto o un “patto” imposto dall’alto a risolvere con un colpo di bacchetta tutte le contraddizioni, è comunque pensabile l’avviamento di un processo che miri a sabotare dall’interno la “Disneyland del Rinascimento” e a trasformare la città in un luogo in cui abbia più senso vivere. Invece che un modello da esportare per la definitiva fiorentinizzazione di tutta la penisola attraverso il rottamatore di Rignano.
Colpire la rendita prendendosi lo spazio. Il fatto che la capitale degli sfratti sia piena di appartamenti lasciati vuoti al mero scopo di “pompare” i prezzi degli immobili è inaccettabile. Le occupazioni a scopo abitativo di stabili sfitti da parte di sfrattati, immigrati in cerca di una sistemazione o giovani giustamente desiderosi di emanciparsi dalla famiglia sono perfettamente legittime, anzi sono forse la cosa più giusta da fare. I recenti fatti di Via de’ Servi e Via del Romito dimostrano come, alla fine, il Comune abdichi alla sua neutralità e sia pronto ad intervenire anche violentemente come parte attiva a favore dei palazzinari, spaventato dalla possibile diffusione di pratiche di appropriazione diretta capaci di far esplodere le contraddizioni della “città vetrina”.
Ricostruire il tessuto sociale. Non sono solo i danni materiali alle condizioni di vita a costituire un problema. Il processo di gentrification ha avuto come conseguenza la distruzione del tessuto sociale cittadino, al punto che nessuno conosce più il proprio dirimpettaio, mancano i luoghi di socializzazione e i quartieri sono sempre più anonimi. Oggi, in pochi conoscono quello del palazzo accanto e nessuno ha idea di chi siano quei giovani che rumoreggiano fino all’alba nelle poche piazze rimaste per l’aggregazione. Un tessuto sociale compatto, invece, tende naturalmente all’autoregolamentazione del quartiere (con tutte le contraddizioni del caso, ovviamente), mentre l’atomizzazione sociale rende ognuno più solo, debole e bisognoso di un aiuto esterno (lo Stato, il Comune) che è tutto meno che disinteressato.
Organizzarsi per non farsi sottrarre altro tempo. Vi è infine un altro nodo, fondamentale, da sciogliere: avere di che campare. Non si vive di sole elemosine, i risparmi delle famiglie entro breve finiranno e, se non ci porremo in modo serio il problema di come fare fronte comune fra disoccupati e lavoratori, dovremo rassegnarci a quel che ci troviamo davanti. Lavori da 500 euro al mese da Eataly o Mc Donald’s e, come vuole il Job Act di Renzi e del Pd, al primo problema fuori (flessibilità….).
Lavorare per due soldi corrisponde ad un furto di tempo legalizzato, costituzionale; è necessario spingere affinchè i lavoratori, a Firenze e non solo, si organizzino dal basso per arrestare gli attacchi al salario e alle condizioni lavorative (licenziamenti, aumenti dei carichi di lavoro, precarietà) uscendo dalle logiche corporative dei sindacati confederali e coordinandosi attraverso punti di riferimento territoriali. Luoghi di incontro che ancora non ci sono, ma che serviranno e infatti urge sperimentare. Dove conoscersi, aiutarsi secondo bisogni e possibilità. Per liberare tempo di lavoro e guadagnare, realmente, tempo di vita: la nostra.
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