Nell’urna il governo pesca l’astensione, ma #Renzi resta sereno

Nei regimi democratico-borghesi i partiti di governo si trovano in una posizione strutturalmente contradditoria. Da un lato, devono infatti sostenere il processo di accumulazione capitalistica, proteggendo e favorendo la proprietà privata dei mezzi di produzione. Sull’altro versante invece, non disponendo di risorse autonome di potere, sono costretti ad affidarsi a quel meccanismo in base al quale il potere politico viene conquistato: ovvero, il sostegno elettorale. Questa situazione provoca un’evidente difficoltà per chi si trova al governo. Criticità che può essere facilmente riassunta nella seguente formula: governare a favore dei pochi con il consenso dei molti. In questa titanica impresa gli amministratori degli interessi borghesi non sono soli però. A tal riguardo, la tradizione marxiana ha individuato il determinante supporto fornito loro dagli apparati di Stato: sia quelli repressivi (polizia, esercito, tribunali, prigioni…) sia quelli ideologici (scuola, università, carta stampata, televisione, mezzi di comunicazione, produzione culturale in genere…). Tutto questo, anche se riveste un peso determinante, non ci sembra però sufficiente a spiegare la capacità dei partiti di governo a sopravvivere in una posizione di congenita debolezza.

L’elemento mancante qui, o per essere più precisi, quello che ci preme sottolineare, è la modalità di competizione che viene assunta da queste forze partitiche. Ancora una volta, il Partito Democratico targato Matteo Renzi costituisce un ottimo esempio per chiarire il quadro. La funzione storica di questa formazione partitica è garantire una sostanziale ristrutturazione delle relazioni tra capitale e lavoro a favore del primo campo. Per far questo necessita però dell’appoggio di settori che hanno interessi divergenti e contrastanti rispetto a quelli del capitale, in quanto quest’ultimo rappresenta, numericamente parlando, una minoranza esigua dell’intera popolazione. In tal senso, la retorica renziana non può quindi politicizzare direttamente la linea di frattura tra capitale e lavoro in quanto, così facendo, risulterebbe perdente. Al tempo stesso però non può neanche ignorare quelle che sembrano essere le principali preoccupazioni degli elettori, ovvero di quei soggetti che saranno chiamati, prima o poi, a decidere sulla sua permanenza al governo. La tattica utilizzata è quindi duplice. In primo luogo, il Partito Democratico si richiama ad un presunto interesse generale in grado di trascendere quelle divisioni che vengono rappresentate come lesive per il bene generale della comunità immaginata, ovvero della nazione. Secondariamente, vi è un continuo utilizzo delle cosiddette valance issues, cioè di quelle tematiche sulle quali praticamente la totalità della cittadinanza condivide una stessa opinione (la lotta contro la povertà, il rifiuto della guerra, la presunta volontà di combattere la disoccupazione giovanile…). In estrema sintesi, schierarsi contro il governo viene dipinto come una difesa egoistica di interessi particolaristici, proprio mentre chi è al timone si auto-rappresenta come impegnato a risolvere urgenti problematiche per il bene generale in una situazione di estrema difficoltà.

Questa narrazione, soprattutto quando legata ad una leadership forte e di indubbie capacità mediatiche, come quella renziana, è spesso capace di riscuotere un certo successo. Generalmente più alto nella fase iniziale, quando le promesse dell’uomo della provvidenza vengono ritenute credibili e facilmente raggiungibili da un elettorato stanco e deluso dal recente passato. Declinante invece quando agli annunci non corrisponde, anche solo parzialmente, un miglioramento tangibile delle condizioni di vita di quanti avevano inizialmente dato fiducia al nuovo venuto. La parabola del boy-scout di Rignano, come testimoniato dalla scarsissima partecipazione elettorale al voto regionale di ieri in Calabria e soprattutto in Emilia-Romagna, è rapidamente entrata, per quanto negata attraverso un’incessante propaganda, in questa seconda fase. Questo provoca un doppio problema politico al capitale. Il primo, evidente e noto a tutti, è la banale constatazione che a tale esecutivo non ci sono alternative. A tutti gli apparati statali, da quelli repressivi a quelli ideologici, sarà chiesto quindi un nuovo e più deciso allineamento alle posizioni governative. Il velato ricatto è infatti chiarissimo: se salta l’esecutivo renziano, la fase di instabilità che potrebbe derivarne rischia di mettere in serio pericolo gli assetti presenti e quindi lo status di chi ricopre, a vario grado e titolo, posizioni dirigenziali. La seconda problematica è invece alquanto più sfumata. Renzi si è distinto in questi mesi per un appoggio deciso al blocco del capitale. Questo posizionamento è ovviamente logico. Sorprendente rimane però la forza e la spregiudicatezza con la quale è avvenuto. In una fase di decisa recrudescenza della conflittualità tra capitale e lavoro e di prolungata crisi economica, Renzi ha spinto con forza a favore dei pochi, riscuotendo un crescente distacco da parte dei molti. Tale situazione è alquanto preoccupante per il capitale che persegue un doppio obiettivo strutturalmente contraddittorio: la riduzione dei salari e delle condizioni di vita di chi vende la propria forza-lavoro in una situazione di perdurante pace sociale. Il venir meno della seconda può infatti rendere vani gli sforzi del capitalismo italiano di raggiungere una maggiore competitività a livello globale. La nostra aspettativa è quindi per un rapido cambio, dopo l’approvazione del tanto discusso Jobs Act, di copione da parte di Renzi. Questo si caratterizzerà per: a) un generale silenzio sulle tematiche legate al lavoro, in gran parte basato su un graduale riavvicinamento alla Cgil; b) una crescente attenzione per le questioni civili ed etiche; c) la presentazione del governo Renzi come l’unica ed ultima ancora di salvataggio.

Dal nostro punto di vista, non molto cambia: continuare a politicizzare la linea di frattura tra capitale e lavoro rimane il nostro primo e più importante obiettivo. Tutto il resto, come sempre, rimane rumore di fondo.

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