Cosa significa e cosa non significa il no al referendum

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1. La vittoria del no al referendum rappresenterebbe senza dubbio un colpo al Governo Renzi. E questa è una ragione semplice, ma banalmente sufficiente per abbandonare ogni velleità astensionista il 4 dicembre e votare NO.

2. La vittoria del sì, rafforzando il Governo, frenerebbe a breve la mobilitazione sociale. Renderebbe più debole chi lotta contro il Jobs Act, i tagli alla sanità, la buona scuola o i voucher. Il contrario però non è affatto scontato. La vittoria del no al referendum non ha di per sé alcun effetto automatico di rilancio del conflitto sociale. Pensare che la sfida referendaria possa essere un trampolino di lancio per un movimento di classe è una visione quanto meno unilaterale. Il referendum non ha solo un effetto mobilitante. L’illusione in questo strumento ha anche l’effetto contrario: imbriglia e ritarda lo stesso movimento di classe.

3. In politica non è importante solo cosa si fa, ma anche chi lo fa e con che strumenti. Dati i rapporti di forza, il campo del no al referendum è egemonizzato dalle forze che provano a sostituire Renzi, senza cambiare il segno di classe delle sue politiche. La minoranza del Pd spera che una vittoria del no riapra i giochi di un futuro centrosinistra. La destra berlusconiana cerca di ridimensionarlo per trattare alla pari su legge elettorale e future iniziative governative. E i 5 Stelle, i principali candidati a raccogliere i risultati elettorali della vittoria del no, dimostrano ogni giorno di più di non avere alcuna politica alternativa da contrapporgli.

4. Per questo votare NO è fondamentale tanto quanto dire la verità: altro che “sovranità” e “strumento principe della democrazia”. Il referendum è un terreno scelto dai nostri avversari, una palude dove si impantanano i nostri interessi sociali. Ne usciremo tanto più velocemente, quanto la attraverseremo senza farci illusioni sul senso del nostro no.

5. Lo scopo conclamato della controriforma istituzionale di Renzi è quello di dare più potere all’esecutivo. Il Senato non viene abolito. Viene azzoppato e reso non elettivo, con l’obiettivo di abbreviare l’iter delle leggi. In un sistema economico dominato dalla massima concentrazione della ricchezza, dove capitali e merci si spostano sempre più rapidamente, non c’è spazio per le lentezze e le trattative del meccanismo parlamentare. Non a caso Jp Morgan o gli stessi Usa, attraverso Obama e il proprio ambasciatore, appoggiano il sì. E hanno invitato in passato i paesi europei a cambiare le proprie Costituzioni.

6. E’ tuttavia una lettura forzata presentare la controriforma costituzionale come il “regime alle porte”. Innanzitutto, se di “svolta autoritaria” si vuole parlare, tale svolta non è in atto da oggi. E non si produce di certo il 4 dicembre. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad ogni genere di restrizione “democratica” su scala nazionale e internazionale: limitazioni al diritto di sciopero, crescente autoritarismo nelle scuole, processi ai No Tav, pacchetti sicurezza, eserciti nelle strade, processi a militanti politici fantasiosi e con pene spropositate come nel caso degli 86 a Firenze, un allegro utilizzo de reato di devastazione e saccheggio, un clima di terrore e di licenziamento liberalizzato nei luoghi di lavoro, testi sulla rappresentanza sindacale che poco hanno da invidiare al vecchio corporativismo, pareggio e vincoli di bilancio che svuotano di qualsiasi potere le assemblee elettive.

Chi corre a gridare alla svolta autoritaria del 4 di dicembre dovrebbe spiegarci in che mondo ha vissuto finora. Dimostra di essere alla coda di un certo settore di giuristi democratici che scambia i piani della realtà, che considera il mondo come un riflesso delle leggi e non al contrario le leggi come un riflesso del mondo.

7. Perfino sul piano istituzionale lo svuotamento del Parlamento è un fatto da tempo. Tra il 1997 ed il 2006 la produzione legislativa in Italia è mediamente di 152 leggi all’anno, contro le 47 del Regno Unito o le 69 della Francia. Il tutto in un contesto di costante crisi dell’istituto parlamentare. Già dalla XII legislatura (1994-1996) esplode l’utilizzo dei decreti d’urgenza: sono 669 in due anni, 0,87 al giorno. Negli ultimi anni la situazione è andata ulteriormente peggiorando. Crisi economica, massimizzazione dei tempi del profitto e del capitale, divisioni interne alla stessa classe dominante affossano sempre di più i “bei tempi andati” del carrozzone parlamentare. E nulla potrà resuscitarli.

8. Più che ad un epocale cambio di regime, il tentativo di Renzi risponde ad un’esigenza puntuale: quella di una maggiore governabilità del capitalismo italiano a fronte di un consenso elettorale che difficilmente supera il 30%. Non a caso la controriforma costituzionale si associa all’Italicum, la presunta nuova legge elettorale. Anche qua, però, è necessario non invertire i piani della realtà: una classe dominante non è forte perché ha una solida impalcatura istituzionale, ma ha una impalcatura istituzionale solida se è forte.

La classe dominante italiana, con le sue divisioni e debolezze, si è dimostrata incapace storicamente di stabilizzare il proprio quadro elettorale di riferimento. Ogni tentativo di risolvere il problema per via istituzionale ha generato nuove contraddizioni. Introducendo il maggioritario all’inizio degli anni ‘90 cercavano di creare un perfetto bipolarismo, riducendo il numero dei partiti. Hanno raccolto un proliferarsi di piccole formazioni politiche che giocano a fare da ago della bilancia tra i due poli. Con la riforma del titolo V della Costituzione in senso federalista volevano snellire la loro macchina statale e razionalizzare la propria capacità di devastare lo stato sociale. Hanno generato un continuo conflitto con le istanze regionali e le proprie cordate di potere locale. La controriforma di Renzi fa retromarcia, andando in direzione opposta, avocando nuovamente allo Stato centrale il titolo V.

Già sorgono dubbi e ripensamenti tra lor signori su Italicum e controriforma costituzionale. Lo stesso meccanismo che oggi serve ad una frazione della borghesia le si potrebbe rivolgere contro in futuro. La “governabilità” creata da Renzi potrebbe essere raccolta domani da un Grillo qualunque. Si spiega così perché personaggi come De Benedetti e Monti si siano schierati per il no. O il fatto che il Financial Times abbia battezzato la riforma di Renzi “un ponte verso il nulla”.

9. Il nostro NO referendario non è in nessun modo una difesa della Costituzione in sè e per sè. Non la difendiamo né per la sua natura, né per la sua genesi, né per il suo contenuto.

La Costituzione nasce storicamente per addormentare le istanze di emancipazione sociali contenute nella Resistenza. E questo è il motivo per cui è cosparsa qua e là di qualche bella frase. Come spiegò lo stesso Calamandrei: essa contiene una rivoluzione promessa in cambio di una rivoluzione mancata.

Il suo contenuto di classe è del resto chiaro. Il diritto costituzionale poggia su capitalismo e libero mercato. Niente di più, niente di meno. La Repubblica è fondata sul lavoro, recita la Carta. Ma il lavoro di cui si parla è quello salariato, necessario a valorizzare il capitale. E in quanto tale non può che coesistere con disoccupazione, diseguaglianza, disparità, sfruttamento. Qualsiasi principio vi sia enunciato ipocritamente è rimangiato dall’unico diritto costituzionale scritto, sancito e applicato: il diritto del capitale alla proprietà privata dei mezzi di produzione. Stiamo parlando poi di una Costituzione ulteriormente peggiorata negli anni con l’inclusione dei principi federalisti cari alla Lega e del pareggio di bilancio.

10. Il vero potere non risiede del resto nella Costituzione. Lo possiede chi ha in mano le grandi leve dell’economia, attraverso le quali controlla tutta l’impalcatura dello Stato, dei media e delle istituzioni ecclesiastiche. La Costituzione non ha impedito certo le stragi di Stato, la Gladio o fatti come quelli di Genova del 2001.

Gli anni successivi alla sua approvazione, quando la Costituzione era “giovane e bella”, furono anni di repressione frontale del movimento dei lavoratori. Sotto il Ministro degli Interni Scelba tra il 1949 ed il 1952 ci furono 17 lavoratori uccisi dalle forze dell’ordine, 14.573 arresti per ragioni politiche o sindacali e 13793 militanti politici e sindacali denunciati a piede libero. Per coprire questa differenza strabordante tra pratica e realtà, un settore della sinistra politica e sindacale si rifugia nella parola d’ordine dell’applicazione della Costituzione.

Si tratta di qualcosa che viene ripetuto dal 1948 in poi: la Costituzione sarebbe buona ma ancora “da applicare”. Facciamocene una ragione: la Costituzione è già applicata. Quello che abbiamo di fronte agli occhi tutti i giorni ne è il frutto. E’ la democrazia parlamentare, del voto di scambio, della guerra di rapina, del segreto di Stato, dei servizi segreti “deviati”, vincolata indissolubilmente a mafia, camorra, ‘ndrangheta, dell’inganno, della parlantina parlamentare, dei privilegi e dei soprusi. E’ la democrazia al servizio del capitale, sempre e comunque. E proprio per questo non è degna nemmeno di essere definita tale. Puzza di stantio e marcio. E se il suo superamento non è all’ordine del giorno, questo non ci dà comunque il diritto a spacciare questa puzza per profumo.

Cortocircuito – Marxpedia 

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