Un uomo, un partito: Armando Cossutta

Riceviamo e pubblichiamo 

La storia personale di Armando Cossutta esprime in modo emblematico la parabola sociale e politica del Partito comunista italiano, così come esso fu plasmato da Palmiro Togliatti durante la Resistenza, ovvero il cosiddetto «partito nuovo» di stampo nazional-popolare che nulla ha a che vedere con il Partito comunista fondato a Livorno nel 1921.

Il padre dell’Armando era di Trieste, era nato nell’attuale frazione Santa Croce nel 1901. Durante la Prima guerra mondiale, era operaio al silurificio di Fiume. Fu uno dei pochi proletari  triestini di sentimenti nazionalisti, filo-italiani. Non solo. Nel 1919, partecipò all’epica impresa di Gabriele D’Annunzio. Finita l’avventura, si trasferì a Sesto San Giovanni (Milano); lavorò dapprima alla Marelli e, nel 1925, fondò con il fratello un’officina che giunse ad avere una quarantina di dipendenti  (Vedi l’intervista ad Armando Cossutta del 2005, ripresa in Addio ad Armando Cossutta, «Il Piccolo», 16 dicembre 2015).

L’Armando nacque nel 1926 (l’anno del congresso di Lione che sancì la morte del Partito comunista d’Italia). Visse in una condizione di discreto benessere e crebbe in un clima politico che vedeva il trionfo del fascismo di cui, studente al liceo classico Carducci di Milano, ne condivise i miti, come molti figli del ceto medio emergente.

Miti che la guerra, il caro-vita, la borsa-nera, i bombardamenti distrussero rapidamente. Nel 1943, l’Armando partecipò alla Resistenza e aderì al Partito comunista italiano, di Stalin e di Togliatti. Sposava nuovi miti, l’Urss di Stalin e la democrazia progressiva di Togliatti, che, in realtà, riverniciavano di rosso il socialismo fascista di Mussolini, fondato sullo sviluppo dell’economia nazionale e sul consenso della piccola borghesia produttiva, delle città e delle campagne.

All’ombra di questi miti, l’Armando costruì la propria brillante e rapida carriera politica. Nel dopoguerra, fu collaboratore dell’«Unità», l’organo del Pci, ed ebbe incarichi di rilievo nella Federazione milanese e in quella lombarda; nel 1951, fu eletto nel consiglio comunale di Milano. Dal 1972 al 2008, fu ininterrottamente in Parlamento.

Un perfetto sacerdote nazional-comunista

L’Armando fu un sacerdote diligente e prudente della teoria-prassi nazional-comunista, rispettandone tutte le liturgie, ma sempre con grande pragmatismo. Suo maestro fu quel Giuseppe Alberganti che, quand’era segretario della Federazione di Milano, per attirare i giovani, non esitò a mettersi in concorrenza con gli oratori, introducendo nelle sezioni il calcio-balilla.

Nel marzo 1956, in occasione del terzo anniversario della morte di Stalin (e alla vigilia della «destalinizzazione», proclamata al XX Congresso del Pcus), l’Armando ebbe la brillante idea di diffondere «santini» commemorativi del «piccolo padre dei popoli». Ciò nonostante, pochi mesi dopo, si adeguò imperturbabile al nuovo corso post stalinista del Pci (VIII Congresso, dicembre 1956) che suscitò solo qualche mugugno, più di forma che di sostanza. La repressione della rivolta ungherese (ottobre 1956) non aveva turbato i rapporti con Mosca, alle cui concezioni ideologiche il Pci restava ancorato.

Negli anni del boom economico, molte cose stavano mutando nella società italiana: contadini e artigiani lasciavano il posto a nuove figure professionali, tecniche e intellettuali. Si diffondevano nuove mode e abitudini. Ma nel Pci permanevano i modelli di un’Italia ormai al tramonto, di cui l’Armando era un fervido difensore. Poco lo preoccuparono la contestazione studentesca (1968) e l’autunno caldo operaio (1969); si oppose perfino ai timidi tentativi di rinnovamento proposti dal Manifesto, i cui animatori (Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Valentino Parlato, Lucio Magri ecc.) furono radiati (non espulsi!) nel 1970.

Per oltre un ventennio, ebbe grigi incarichi amministrativa, svolgendo poi una tranquilla attività senatoriale. Il suo risveglio politico avvenne nel 1982, quando Enrico Berlinguer attuò lo «strappo» da Mosca. Il  Pci era allora sulla cresta dell’onda, in un testa testa con la Democrazia cristiana. Con lo «strappo», Berlinguer voleva allentare i rapporti con Mosca,  per ridefinire il ruolo nazionale del suo Partito, in un Paese, come l’Italia, che era uno dei pilastri della nascente Unione europea. Una prospettiva che esigeva la formazione di un polo autonomo e alternativo alle due potenze egemoni, Usa eUrss.

Per lo «strappo», i tempi erano più che maturi, anzi, marci. L’Urss si era impantanata nella disgraziata avventura afghana, mentre Ronald Reagan, col bluff delle «guerre stellari», la costringeva a un affannoso potenziamento dell’apparato militare, a tutto danno di un’asfittica struttura industriale, la cui fragilità balzò alle cronache col disastro di Černobyl’ (1986). Contemporaneamente, l’egemonia di Mosca veniva scossa alle radici dalle agitazioni operaie in Polonia che, via via, dilagarono in altri Paesi del Comecon. Tutto contribuiva alla nascita di un «nuovo» Pci. Ma Berlinguer faceva i conti senza l’oste…

La forza di inerzia di un tristo passato

Per tutti gli anni Ottanta, pur di fronte ad avvenimenti traumatici, l’apparato burocratico del Pci fu assai restio a ogni spinta innovativa che ebbe nell’Armando l’oppositore principe. Si è parlato dell’oro di Mosca. Fu poca cosa, una meschinità rispetto a quanto gli Usa dettero alla Democrazia cristiana, ai socialdemocratici di Tanassi & Co. e ad altre organizzazioni politiche di centro-destra. In realtà, Cossutta traeva stimolo nelle vecchie relazioni politico-sociali del Partitone, che restavano in vita solo grazie alla forza di inerzia di un’insulsa nostalgia per un tristo passato.

Con la morte del Pci e la nascita del Partito democratico della sinistra italiana (1990), l’Armando capeggiò il gruppo da cui sorse il Partito della rifondazione comunista (1991). Per quanto inizialmente consistente, il nuovo partito era assolutamente mal assortito (mal tra insema, si dice a Milano), come dimostrarono le sue successive vicende. Tenne un piede in un passato remoto (e spesso immaginario) e un altro in un presente sempre più sfuggente, senza mai assumere una precisa connotazione politica. In poche parole, Rifondazione cercava stolidamente di imbrigliare le dinamiche sociali scatenate dall’incipiente crisi del modo di produzione capitalistico e che erano in rotta di collisione con i vecchi schemi politici dei rifondaroli. Come si vide a Genova, nel luglio 2001, in occasione del G8. Ma l’Armando aveva ormai tirato i remi in barca, rendendosi conto di non essere in grado di affrontare un mare a lui sconosciuto. Si defilò, cercando stancamente di ricomporre i frammenti di un’esperienza che non aveva più alcuna ragione di esistere. Le è sopravvissuto per pochi anni. Si è spento il 14 dicembre 2015.

Dino Erba, Milano, 19 dicembre 2015.

Leggi anche:

OTELLO GAGGI: PERSEGUITATO DAL FASCISMO, ELIMINATO DALLO STALINISMO

BANDIERA ROSSA: L’ANTIFASCISMO CLASSISTA A ROMA, 1943–44

INTERVISTA AL MARXISTA LOREN GOLDNER

FEDELI ALLA CLASSE: RESISTENZA ROSSA O TRICOLORE?

RAZZISMO – COME E PERCHÈ IL RAPPORTO SOCIALE CAPITALISTICO PROCEDE SVILENDO L’UMANITÀ

L’UOMO È VIOLENTO “PER NATURA”? LE DISPARITÀ SONO SEMPRE ESISTITE? ASSOLUTAMENTE NO

25 APRILE: LA LOTTA CONTRO IL FASCISMO E LA NECESSITÀ DEL TERRENO CLASSISTA

11 AGOSTO 1944: L’INSURREZIONE DI FIRENZE

UN ESEMPIO DEL LEGAME FRA STATI E CAPITALI: HITLER E LE INDUSTRIE AMERICANE

Facebook

YouTube